sabato 23 luglio 2011

Mycobacterium tuberculosis


Il Mycobacterium tuberculosis (Fig. 1), agente eziologico della tubercolosi, è un microrganismo bastoncellare aerobio obbligato, immobile ed asporigeno.
Viene comunemente considerato Gram-positivo ed è caratterizzato da alcol-acido resistenza evidenziabile mediante la colorazione di Ziehl-Neelsen. Questi microrganismi sono molto resistenti agli agenti chimici e fisici, mostrano una sensibilità media al calore mentre resistono a lungo all'essicamento. Si distinguono 5 varietà di bacillo tubercolare: umano, bovino, aviario, murino e degli animali a sangue freddo, delle quali solo le prime due hanno importanza nella patologia umana.
La trasmissione avviene principalmente per via aerea (attraverso l'esposizione al bacillo presente nelle goccioline di secreto bronchiale del soggetto infetto). Un'altra via di introduzione molto rara è rappresentata dalla via cutaneo-mucosa (per contatto di lesioni cutanee o di membrane mucose con materiale infetto). Rarissimo è il contagio indiretto (attraverso oggetti contaminati). Il contagio è possibile fino a quando i bacilli continuano ad essere presenti nelle secrezioni del paziente infetto. Talvolta nei pazienti non trattati, o trattati in modo inadeguato, il periodo di contagiosità può durare anche anni. Il grado di contagiosità dipende essenzialmente dal numero di bacilli tubercolari emessi (carica infettante) e dalla loro virulenza.
Il Mycobacterium tuberculosis penetra nell'organismo prevalentemente attraverso la via respiratoria per cui la localizzazione più frequente è quella polmonare. Inizialmente si forma un focolaio a carattere essudativo che quasi sempre evolve verso la guarigione con conseguente caseificazione residua (complesso primario); nel soggetto colpito si instaura così uno stato immunoallergico che lo rende più resistente ad una successiva reinfezione (1). In circa il 20% dei casi tuttavia il bacillo tubercolare permane in forma latente a livello dei linfonodi interessati. Solo raramente una lesione primaria polmonare può evolvere in tubercolosi polmonare e solo in alcuni casi, attraverso vari meccanismi (disseminazione ematica, diffusione intrabronchiale), si può avere una localizzazione diffusa del batterio (tubercolosi miliare). È possibile anche contrarre un'infezione primaria per via alimentare (Mycobacterium bovis) con conseguente localizzazione a livello intestinale.
La tubercolosi post-primaria insorge a causa di un'infezione che può essere esogena (penetrazione di nuovi bacilli dall'esterno) o endogena (riattivazione dei micobatteri latenti nelle lesioni primarie in seguito ad un'attenuazione delle difese immunitarie del soggetto). La tubercolosi polmonare post-primaria non opportunamente curata può progredire fino alla formazione di caverne nel tessuto polmonare dalle quali il germe può diffondere attraverso le secrezioni bronco-polmonari anche al tratto gastroenterico. È possibile inoltre una diffusione linfoematogena con localizzazione a carico di vari organi quali reni, meningi, cervello, ecc..(2)

Epidemiologia


Il M. tuberculosis è stato per tutto il XIX secolo e l’inizio del XX una delle principali cause di morte di natura infettiva. A partire dagli anni ’70 ed i primi anni ’80, in seguito all’impiego di farmaci antitubercolari efficaci, si era riusciti a debellare la patologia nei Paesi industrializzati e a controllarla nei Paesi in via di sviluppo.
Questa tendenza incominciò ad invertirsi a metà degli anni ’80, quando si ebbe un aumento dei casi tra i malati di AIDS.
È importante sottolineare che un individuo HIV-positivo ha un rischio 100 volte superiore di ammalarsi di tubercolosi e comunque di contrarre altre patologie infettive in quanto il deficit immunitario, determinato dalla malattia, permette che tante altre infezioni (polmoniti, micosi ecc.) possano essere acquisite.
Grande importanza eziologica hanno assunto ultimamente anche i cosiddetti MOTT (Mycobacteria Other Than Tuberculosis) che, sebbene non siano agenti eziologici di tubercolosi propriamente detta ed abbiano un’incidenza nettamente inferiore a quella di M. tuberculosis a causa della loro minor virulenza, possono causare infezioni in pazienti con alterazioni della risposta immunitaria.
Alcune stime del 1990 hanno calcolato che circa 3 milioni di soggetti sono infetti sia da HIV che da tubercolosi, la maggior parte dei quali vive nell’Africa sud-Sahariana.
I maggiori paesi a rischio per associazione TBC-HIV sono l'Uganda, il Senegal, lo Zambia, la Costa d'Avorio (dove si trovano oltre il 40% dei malati) (3).
Nel 1993, la gravità della situazione costrinse l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) a dichiarare la tubercolosi un’emergenza globale (Fig. 2) nel tentativo di accrescere la consapevolezza pubblica e politica.
L’allarme del WHO fu sentito anche in Italia dove negli ultimi 15 anni si è avuto un aumento di incidenza dai 7 ai 9 casi ogni 100.000 abitanti (Fig. 3). Tendenza che sembra dovuta alla forte immigrazione di soggetti provenienti da paesi ad alta endemia tubercolare, dall’aumento dei sieropositivi e dal nuovo sistema di segnalazione dei
casi (non più limitata ai soli casi conclamati).
La tubercolosi va considerata alla stregua delle altre malattie infettive: come queste, diffondendosi in una popolazione "vergine", ha un suo picco di diffusione superato il quale il livello d'infezione declina.
A differenza delle comuni malattie infettive, nelle quali questo avviene in un tempo relativamente breve (settimane o mesi), per la tubercolosi si considera che siano necessari 300 anni perché la malattia completi il suo ciclo. Nell'arco di tale periodo si distinguono tre fasi di diffusione:
    una fase iniziale, caratterizzata da elevata morbosità e mortalità, corrispondente alla rapida diffusione in una popolazione vergine;
    una fase di "transizione", nella quale la mortalità decresce ma la morbosità ed il tasso di infezione (svelato dalla positività alla tubercolina) sono ancora in aumento;
    una fase "endemica", con riduzione sia della mortalità che della morbosità e del tasso di infezione, con spostamento dell'età della prima infezione dall'infanzia all'età adulta.
In passato, in Europa e Nord America la fase di diffusione della tubercolosi corrispose all'inizio della rivoluzione industriale (XVIII secolo), periodo distinto da massicci fenomeni di urbanizzazione accompagnati da una caduta del livello igienico delle popolazioni. In Italia il primo periodo documentabile di diffusione della malattia corrispose agli anni tra il 1887 ed il 1928, il secondo dal 1928 al 1947 ed il terzo periodo dal 1947 ad oggi.

Incidenza
L’uomo è l’unico serbatoio di M. tuberculosis e si calcola che nel mondo più di un miliardo di persone siano state infettate da questo microrganismo e che i nuovi casi ammontino a sedici milioni ogni anno, mentre tre milioni di persone muoiono annualmente in seguito a questa malattia. (4).
Le infezioni da micobatteri hanno fatto registrare negli ultimi anni un preoccupante incremento dei casi anche nei paesi industrializzati.
Tra le cause che stanno determinando il risveglio di una patologia che si riteneva in estinzione (5) dobbiamo annoverare sicuramente la diffusione delle infezioni sostenute da HIV e l’immigrazione di soggetti provenienti da paesi ad alta endemia tubercolare. Infatti, nonostante la validità della chemioterapia a breve corso (DOTS) e il vaccino di Calmette-Guerin (BCG), il bacillo tubercolare continua a rivendicare più vite di qualsiasi altro singolo agente infettivo.
Questo nuovo orientamento presenta come peculiarità la diffusione di
ceppi resistenti ai farmaci e una mortale sinergia con il virus dell’Immunodeficienza Umana (HIV).

Patogenicità
Non si conosce ancora bene il meccanismo che sta alla base dell’azione patogena del Mycobacterium tuberculosis. Questo microorganismo non produce esotossine, quindi l’azione patogena sembra imputabile ad una sua tossicità intrinseca legata ad alcuni lipidi della parete cellulare (Fig. 4) presenti in grande quantità (circa il 60 % del peso secco). Questa caratteristica spiega la particolare idrofobicità che presentano questi microorganismi ed anche l’impermeabilità ai coloranti e l’alcol-acido resistenza.
Analizzati dal punto di vista biochimico, questi lipidi risultano essere
in parte vere e proprie cere, in parte glicolipidi, questi ultimi denominati micosidi dei quali uno in particolare è considerato essere direttamente correlato con la virulenza: il fattore cordale. I ceppi privati di questo micoside, infatti, risultano avirulenti pur conservando la vitalità.
In vitro sono in grado di inibire la migrazione dei polimorfonucleati e risultano letali se somministrati sottocute nel topo.
Membrana plasmatica

Un altro micoside di notevole importanza è la cera D (free lipids in Fig. 4), sostanza localizzata nello strato basale della parete e formata da acidi micolici e da un glicopeptide.
La cera D ha il potere di aumentare l’immunogenicità ed induce inoltre una ipersensibilità di tipo ritardato alla tubercolina. La frazione fosfatidica grezza è direttamente responsabile della tipica reazione granulomatosa che porta alla formazione del tubercolo compresa la necrosi caseosa. Ciononostante la tubercolosi non è una malattia altamente contagiosa e nel soggetto immunocompetente causa, come unico segno dell’avvenuta infezione, la reattività alla PPD (derivato proteico purificato).
Le conseguenze dell’inalazione o ingestione di bacilli tubercolari variano principalmente in funzione della virulenza del microorganismo ed al grado di resistenza che l’organismo ospite oppone all’infezione. Solitamente l’infezione primaria nell’ospite immunocompetente produce una reazione autolimitante anche se, nei casi estremi, la malattia può progredire portando a morte il soggetto infettato. Le lesioni istopatologiche caratteristiche della malattia possono essere di tipo essudativo o produttivo. Le prime sono presenti nelle fasi iniziali del contagio o quando il microorganismo prolifera in carenza di risposta immune adeguata da parte dell’ospite. Le seconde sono tipiche della fase in cui il soggetto infettato ha sviluppato una ipersensibilità alle proteine tubercolari. In questo caso i macrofagi si dispongono concentricamente attorno ai focolai di infezione sotto forma di cellule epitelioidi che si allungano a formare i granulomi tubercolari tipici di questa malattia.
Alcune di queste cellule talora si fondono tra loro a formare le cellule giganti caratterizzate dalle presenza di numerosi nuclei e da bacilli viventi intracitoplasmatici. Le cellule epitelioidi vengono circoscritte dal parenchima dell’organo colpito grazie alla presenza di linfociti e fibroblasti in proliferazione. Mentre nella fase iniziale dell’infezione è di gran lunga più frequente la localizzazione intracitoplasmatica dei bacilli, nella fasi più tardive è più facile ritrovarli in sede extracellulare, probabilmente perché i macrofagi attivati riescono meglio a distruggerli una volta fagocitati.

Resistenza e terapia 

La terapia della tubercolosi si protrae usualmente per periodi molto lunghi (6-9 mesi), questo perché le molecole utilizzate necessitano per agire di organismi metabolicamente attivi, mentre M. tuberculosis cresce molto lentamente.
Un altro caposaldo della terapia antitubercolare è l’utilizzo contemporaneo di più chemioterapici. Questa condotta diminuisce di gran lunga la possibilità di selezionare resistenti: la notevole quantità di batteri presenti a livello della lesione e la diminuita efficacia delle difese messe in atto dall’ospite permettono ai rari mutanti resistenti di moltiplicarsi grandemente favoriti in passato dall’esposizione ad un unico farmaco.
L’emergenza di resistenti spontanei è la regola ed è direttamente proporzionale alla quantità di bacilli esposti al farmaco.
Nel paziente affetto da tubercolosi è verosimile suddividere i bacilli in tre differenti sottopopolazioni. La prima, maggiormente rappresentata, corrisponde ai microorganismi che si sviluppano attivamente in ambiente extracellulare. La seconda sottopopolazione, anch’essa extracellulare, si riproduce più lentamente della precedente nel contesto della necrosi caseosa, mentre la terza, a lenta crescita, si riproduce in ambiente intracellulare ed è quella presente all’interno dei macrofagi e dei monociti. Non tutti i farmaci antitubercolari dimostrano la stessa efficacia nei confronti di queste tre sottopopolazioni, infatti isoniazide, streptomicina ed etambutolo risultano essere particolarmente attivi nei confronti delle popolazioni extracellulari metabolicamente attive; la rifampicina sembrerebbe attiva unicamente nei confronti della porzione di bacilli extracellulari a crescita più lenta. I micobatteri intracellulari sono invece sensibili alla pirazinamide che sperimentalmente si è dimostrata molto efficace.
Recenti studi hanno dimostrato come la terapia della tubercolosi possa essere protratta per un periodo di tempo più breve con risultati eccellenti quando si utilizzino antitubercolari attivi nei confronti delle suddette sottopopolazioni.
Una volta iniziato il trattamento, si assiste a miglioramento della sintomatologia in 2-3 settimane, anche se sono necessari almeno due mesi perché si negativizzi l’escreato.
Nei pazienti adulti con localizzazione unicamente polmonare è possibile intervenire con protocolli terapeutici che prevedono una terapia della durata di sei mesi comprendente in associazione isoniazide, rifampicina e pirazinamide. A questo protocollo terapeutico è possibile associare, per un periodo di due mesi, un altro antitubercolare quale la streptomicina.
I protocolli di durata maggiore (nove mesi) prevedono l’utilizzo di isoniazide e rifampicina con l’eventuale aggiunta di etambutolo per i primi due mesi (6).
I pazienti sottoposti a terapia antitubercolare possono essere considerati non più infetti dopo 2-4 settimane.
In caso di sospetta resistenza ai farmaci si dovrà iniziare la terapia comprendendo quattro farmaci (isoniazide, rifampicina, etambutolo e pirazinamide) finché non sia noto l’esito dell’antibiogramma.