Genetica di Popolazione

Paleontologia

lunedì 26 febbraio 2018

Clonazione ed espressione di geni eterologhi in Microrganismi

di Nannai

Pur trattandosi di una tecnologia superata da nuove metodiche quali CRISP-Cas9  (acronimo di «CRISPR associated») o dalla tecnologia  molto promettente che si è affacciata sulla scena qualche anno più tardi, chiamata «Tale» che è l'acronimo per (Transcription activator-like effectors, o effettori che agiscono come attivatori della trascrizione. È interessante studiare l'evoluzione e la storia della clonazione di geni eterologhi nei microrganismi con la metodica del DNA Ricombinante.

DNA Ricombinante
  
  • La tecnologia del DNA-Ricombinante ha avuto nei primi anni del XXI secolo una rapida evoluzione, ma la sua data di nascita può essere fatta risalire molto prima, e cioè, alla fine del decennio Sessanta e all’inizio di quello successivo del XX secolo. Già, perché nel 1973 si registra la tappa iniziale di questa tecnologia, quando i biologi Stanley Cohen dell’Università di Stanford e Herbert Boyer dell’Università della California realizzarono un’impresa che, nel mondo della materia vivente, secondo alcuni esperti di biotecnologia è paragonabile per importanza alla scoperta del fuoco. I due ricercatori spiegarono di aver preso due organismi non correlati fra loro, cioè che non si accoppiano in natura, di aver isolato un frammento di DNA da ciascuno e, quindi, di aver ricombinato i due frammenti di materiale genetico. Questi risultati furono, comunque, resi possibili grazie a delle importanti scoperte fatte negli anni immediatamente precedenti.
Verso la fine degli anni sessanta, dopo i primi grandi successi, la ricerca sul DNA iniziò a rallentare perché si aveva bisogno di importanti strumenti biologici che ancora mancavano per:
  • riuscire a tagliare i lunghi frammenti di DNA in un certo numero di frammenti riproducibili;
  • e per riuscire a determinare la sequenza di basi del DNA.
Il primo strumento della Tecnologia del DNA-Ricombinante fu scoperto per caso all’interno dei batteri. Infatti nei primi anni 70 si scoprì che alcuni batteri hanno la capacità di demolire specificatamente il DNA iniettato dai batteriofagi all’interno della loro cellula. Tali batteri hanno, infatti, degli enzimi capaci di sequenziare  il DNA estraneo in punti diversi. Questi enzimi sono detti Enzimi di Restrizione o Endonucleasi di Restrizione. Oggi si conoscono centinaia di Endonucleasi di Restrizione.
Il secondo strumento della tecnologia del DNA-Ricombinante sono i plasmidi. Anche questi sono stati scoperti nello stesso periodo e si tratta anch’esse di strutture tipiche dei batteri.

Gli Enzimi di Restrizione

Gli enzimi di restrizione sono una famiglia di proteine, appartenenti alla categoria delle Endonucleasi, prodotte dai batteri a scopo difensivo. Il loro ruolo naturale è quello di intercettare e distruggere il DNA dei virus che infettano i batteri ( detti batteriofagi). Infatti, questi enzimi sono capaci di tagliare il DNA come farebbe una forbice con un nastro. Le incisioni avvengono in corrispondenza di particolari sequenze, caratteristiche per ogni enzima, presenti in più punti del genoma e distribuite in modo casuale.
 Le Endonucleasi di Restrizione sono dunque enzimi capaci di tagliare il DNA a doppia elica a livello di specifiche sequenze di riconoscimento, dette Siti di Restrizione, o Sequenze di riconoscimento degli enzimi di restrizione. Dunque, ogni enzima riconosce uno specifico sito di restrizione, che in genere è un palindromo. In linguistica un palindromo è una parola che rimane identica, sia letta da sinistra verso destra sia viceversa, come ad es. le parole “oro” e “Anna”. Nel caso della molecola di DNA un palindromo è una sequenza nucleotidica a simmetria binaria che presenta la stessa sequenza di basi, se letta in direzione 5’-3’ sia su un elica che sull’altra.
Enzimi di questo tipo non sono stati riscontrati negli eucarioti.
La cellula batterica si protegge contro l’azione delle proprie endonucleasi di restrizione modificando il proprio DNA durante il processo di replicazione. Infatti, ogni ceppo batterico, per ogni attività di restrizione, possiede una DNA-metilasi che riconosce la medesima sequenza riconosciuta dall’enzima di restrizione, la quale viene modificata aggiungendo gruppi metilici a residui di adenina o citosina. Di regola la metilazione blocca il legame dell’enzima di restrizione, rendendo il DNA batterico resistente alla scissione. Dunque, l’effetto delle metilasi di restrizione è quello di fornire un meccanismo di degradazione delle molecole di DNA esogeno e allo stesso tempo di proteggere il DNA batterico endogeno.
Questo sistema detto nel suo insieme Sistema di Restrizione-Modificazione è stato scoperto  grazie ai suoi effetti sui batteriofagi. Il DNA fagico può passare da un batterio all’altro dello stesso ceppo perché ha lo stesso pattern o modello di metilazione del DNA dell’ospite. Quando, però, il DNA fagico entra in un nuovo ceppo batterico, viene attaccato dall’endonucleasi dell’ospite, per cui il fago tende ad essere ristretto ad un solo ceppo batterico. Tuttavia, una piccola parte del DNA fagico può sfuggire all’attacco e, se questo DNA sopravvive a un ciclo di replicazione dell’ospite anche il suo DNA sarà metilato poiché si è replicato in presenza della sua metilasi. D’ora in poi questi fagi possono continuare a replicarsi efficacemente nel nuovo ospite.

Gli enzimi di restrizione prendono il nome dall’organismo dal quale vengono isolati. Per convenzione si usa un sistema a tre lettere in corsivo. Se un ospite particolare ha diversi sistemi di restrizione-modificazione, questi vengono identificati con i numeri romani (es.: HaeI, HaeII, HaeIII). Le lettere addizionali indicano un particolare ceppo batterico da cui è stato ottenuto l’enzima. Per esempio, BgIII viene da Bacillus globigi; EcoRI è dal ceppo di Escherichia coli RY13 e HindIII dal ceppo Rd di Hæmophilus influenzæ. La pronuncia di questi vocaboli è particolare e non segue una regola precisa. Per esempio, BamHI suona “bam-acca-uno”, BgIII è ”bi-gi-elledue”, EcoRI è “eco-erre-uno”, HindIII è “ind-tre”, HhaI è “a-a-uno” e HpaII è “epa-due”. Gli enzimi di restrizione appartengono a due classi:
1 Enzimi di restrizione di Tipo I: riconoscono una specifica sequenza di coppie di nucleotidi nel DNA e tagliano il DNA in posizioni non specifiche a una certa distanza da quella sequenza. Poiché il sito di taglio non è una specifica coppia di basi, gli enzimi di restrizione di Tipo I non sono molto utili per la costruzione o l’analisi di molecole di DNA ricombinante.
2 Enzimi di restrizione di Tipo II: anche questi enzimi riconoscono specifiche sequenze di coppie di nucleotidi, all’interno delle quali tagliano il DNA. La sequenza di riconoscimento per gli enzimi di tipo II è lunga 4-6, raramente 8 nucleotidi. Poiché tutti i frammenti di DNA generati dal taglio con un particolare enzima di restrizione di tipo II sono stati tagliati a livello della stessa sequenza, questi enzimi sono molto utili per costruire molecole di DNA ricombinante. Questi enzimi sono stati isolati da numerosi ceppi batterici. Poiché ciascun enzima taglia il DNA a livello di una specifica sequenza di coppie di nucleotidi, il numero di tagli praticati da un certo enzima in una particolare molecola di DNA dipende dal numero di volte che la sequenza di riconoscimento-taglio è presente in quel DNA. In alcuni casi, enzimi di restrizione isolati da batteri differenti riconoscono e tagliano la stessa sequenza nucleotidica e vengono detti isoschizomeri.
Esistono endonucleasi in grado di tagliare entrambi i filamenti della doppia elica allo stesso livello, con formazione di due monconi netti, blunt ends, e altre invece capaci di interrompere i filamenti a differenti livelli secondo un taglio obliquo. In quest’ultimo caso si ottengono due estremi a singola elica complementari, sticky ends, che sono pertanto particolarmente reattivi e capaci di legarsi a tratti di DNA corrispondenti, generati dalla digestione con lo stesso enzima. Da notare che sticky in inglese significa appiccicaticcio.


L'asse di simmetria nelle sequenze di DNA
EcoRI
  • La maggior parte degli enzimi di restrizione si lega a sequenze specifiche di DNA (siti di restrizione) che sono simmetrici attorno al loro punto mediano. La figura mostra il sito di restrizione per l'enzima EcoRI sul DNA. L'asse di simmetria non implica che quello sia il punto in cui l'enzima taglia l'asse, come vedremo dopo.



Siti di taglio di restrizione

A seconda dell'enzima, il taglio può  avvenire in uno dei tre modi come illustrato di seguito.






Dunque, gli Enzimi di restrizione del tipo I non danno possibilità di innesto tra due segmenti di DNA, poiché la loro cesura è netta, mentre i secondi avendo estremità coesive, rendono possibili l’innesto tra due segmenti di DNA. Come detto prima, ogni enzima taglia solo in corrispondenza di una specifica sequenza nucleotidica di riconoscimento. Questo ha come conseguenza che un gene ed un Plasmide tagliati entrambi con lo stesso enzima di restrizione si riconoscono e si uniscono perché hanno le estremità coesive complementari. Per completare il processo d’innesto è necessario un tipo di enzima, detto DNA-Ligasi che unisce le estremità tagliate di ciascun filamento. L’isolamento della DNA-ligasi, capace di saldare tra loro frammenti di DNA , insieme alla scoperta degli Enzimi di Restrizione, ha reso possibile la Tecnologia del DNA-Ricombinante. Il processo di saldatura di frammenti di DNA che possono derivare da organismi anche molto distanti da un punto di vista evolutivo, prende il nome di Ligazione, e consente di formare molecole di DNA ricombinante. Quando si vogliono legare tra loro molecole di DNA umano e quelle del vettore vengono tagliate con un Enzima di Restrizione; successivamente, la DNA ligasi catalizza la formazione del legame fosfodiesterico tra le due molecole da saldare. Condizione indispensabile per la ligazione di molecole di DNA è costituita dal fatto che le loro estremità siano “compatibili”, cioè le estremità dei 2 frammenti devono essere coesive verso l’estremo 5’ o verso il 3’ e queste sono compatibili quando sono complementari e cioè digerite con lo stesso enzima di restrizione. Nel caso di ligazione tra molecole che presentano estremità coesive, avviene prima un processo spontaneo di Associazione Molecolare, che consiste nella formazione di legami di idrogeno tra le basi complementari presenti nelle estremità a singolo filamento; successivamente, la continuità della molecola di DNA è assicurata dall’attività dell’enzima DNA-ligasi. Invece, la ligazione tra molecole con estremità piatte è meno efficiente rispetto a quella tra molecole con estremità coesive.


Figura 1  Attività enzimi di restrizione e DNA-ligasi

 
Il plasmide ricombinante ottenuto viene reinserito in una cellula batterica che, moltiplicandosi, darà origine ad un clone, una popolazione di batteri contenenti tutti il DNA ricombinante. Un clone può essere fatto crescere a piacimento e quindi si avranno a disposizione quantità a piacimento di DNA-Ricombinante. 


Questa tecnica, detta Clonazione Molecolare, è utilizzata correntemente nei laboratori di biologia molecolare.


VETTORI DI TRASFERIMENTO: per trasferire il DNA da una cellula ad un'altra, uguale o diversa, si possono sfruttare navette dette "vettori". I vettori più usati sono i plasmidi (solo per batteri e lieviti) e i virus (per batteri, lieviti, cellule vegetali e animali).

Plasmidi. Sono molecole di DNA circolare naturalmente presenti nelle cellule di batteri e lieviti. I plasmidi sono in grado di spostarsi tra microrganismi della stessa specie o di specie affini, soprattutto se posti in condizioni ambientali particolarmente disagevoli (presenza di antibiotici, mancanza di sostanze nutrienti ecc.). Per un microrganismo avere un plasmide di solito è vantaggioso perché i geni in esso contenuti lo aiutano a sopravvivere. In laboratorio, con l'aiuto degli enzimi di restrizione, si possono inserire in un plasmide uno o più geni (di qualunque provenienza). Il plasmide modificato può essere poi assorbito da un microrganismo che acquisterà nuove caratteristiche.

Virus. I virus sono costituiti da un involucro di proteine di ridottissime dimensioni al cui interno è racchiuso il DNA virale contenente solo le informazioni essenziali. Per questo motivo, i virus non sono veri e propri esseri viventi: non sono completamente indipendenti e non possono riprodursi da soli. Infatti, per moltiplicarsi un virus deve infettare una cellula, intrufolarsi nel suo genoma e usarne le proteine per copiare centinaia di volte il proprio DNA. In seguito, ogni copia del DNA virale viene racchiusa in un involucro di proteine virali (detto capside) a dare tanti virus-figli che alla fine fanno lisare la cellula. Capita, a volte, che il DNA della cellula e il DNA del virus si scambino alcuni geni in modo casuale. In laboratorio è possibile pilotare questo fenomeno, noto come ricombinazione, per trasferire geni particolarmente interessanti nelle cellule. Per far ciò, si sostituiscono alcuni geni del virus con geni utili, di qualunque provenienza, e un gene marcatore per verificare l'avvenuto trasferimento. Il virus modificato è ancora in grado di infettare la cellula, ma, anziché sfruttarla e distruggerla, la arricchisce delle nuove caratteristiche desiderate.

TRASFORMAZIONE:

Il passo successivo nella tecnica del DNA-ricombinante richiede l’assunzione del DNA clonato da parte di E. coli. Il processo con il quale si introduce DNA purificato in una cellula batterica è detto Trasformazione. La Trasformazione consiste nel trasferire un tratto di DNA, contenente uno o più geni nella cellula ricevente. E’ importante sottolineare che i geni possono provenire da una fonte, ed è quindi possibile ottenere ibridi che mai sarebbero comparsi in natura. Per quanto riguarda E. coli uno dei metodi di trasformazione esige il trattamento preliminare delle cellule con il Cloruro di calcio (CaCl2) a temperatura elevata (42°). La Trasformazione, tuttavia, è un procedimento inefficiente, giacché tipicamente non si riesce a trasformare più di 1 cellule su 1000. in altre parole la trasformazione lascia la situazione preesistente: la maggior parte delle cellule non ha acquistato alcun plasmidio. Per di più un certo numero di cellule è stato trasformato da DNA plasmdico ciclizzato sfuggito alla defosforilazione ad opera della fosfatasi alcalina, altre cellule hanno acquistato DNA non plasmidico e alcune sono state trasformate dal costrutto plasmidio-inserto DNA. Comunque, una cellula batterica non può mantenere DNA extracromosomiale privo di un origine di replicazione e ciò fa sì che l’assunzione di DNA non plasmidico ciclizzato non abbia conseguenze sull’esperimento di DNAricombinante.  Per essere certi che il costrutto Plasmidio-DNA clonato venga perpetuato nella sua forma originaria, occorre che le cellule ospiti di E. coli manchino di geni perla sintesi delle Endonucleasi di Restrizione; solitamente, poi, non saranno capaci di effettuare scambi tra molecole DNA, perché saranno state rese negative alla ricombinazione (RecA-). In un batterio che non produce Endonucleasi di restrizione è meno probabile che il costrutto Plasmidio-inserto di DNA venga degradato. Dopo la trasformazione la cellula manterrà tutte le caratteristiche, a cui si aggiungeranno quelle dovute ai nuovi geni. In alcuni casi,il DNA trasferito è scelto appositamente per disattivare un gene normalmente presente nel genoma della cellula ricevente. La cellula ricevente presenterà allora tutte le caratteristiche originarie meno una.

TRASFORMAZIONE DI MICROORGANISMI. Inserire DNA estraneo in batteri e lieviti è piuttosto semplice. Di solito, si usano plasmidi costruiti su misura, contenenti il gene d'interesse associato ad un gene marcatore, essenziale alla fine per individuare le cellule effettivamente trasformate. In opportune condizioni, i plasmidi modificati vengono assorbiti dai microrganismi che acquistano di conseguenza le caratteristiche desiderate.

TRASFORMAZIONE DI CELLULE VEGETALI.

Infezione con Agrobacterium.

Anno
Descrizione dell’osservazione

1853
Primo report scritto sulla malattia della galla del colletto

1907
A. tumefaciens identificato come agente causale della galla del colletto

1947
Tessuto tumorale può proliferare in coltura in terreno privo di ormoni.
Si pensa che le cellule tumorali siano trasformate da un “principio che induce tumore” (TIP) derivante da Agrobacterium

1956
Composti azotati inusuali sono identificati esclusivamente nel tessuto tumorale (opine)

1974
La virulenza di ceppi di Agrobacterium dipende dalla presenza di un plasmide di grandi dimensioni: plasmide Ti (Tumor inducing). TIP è probabilmente una componente di questo plasmide

1977
 Il T-DNA è presente nel genoma delle cellule tumorali (T-DNA = TIP)


1983
Prima pianta trasformata con un gene ricombinante utilizzando
Agrobacterium tumefaciens

1984
La presenza di oncogeni nel T-DNA determina il fenotipo tumorale
1985
Identificazione del sistema a due componenti VirA/VirG per la percezione e trasduzione del segnale indotto da Agrobacterium

1986
Ulteriori progressi nella comprensione del meccanismo di trasferimento
presente ed integrazione del T-DNA


Il metodo più noto e più comune per produrre in laboratorio varietà vegetali con caratteristiche vantaggiose sfrutta l'Agrobacterium tumefaciens. In natura, l'Agrobacterium causa, nelle piante, la malattia nota come "tumore del colletto", una moltiplicazione incontrollata delle cellule infettate entro cui il batterio si può riprodurre. Questo microrganismo contiene un plasmide che ha la capacità di trasferire un tratto del proprio DNA (T-DNA, cioè DNA che induce il tumore) in alcune piante. I biologi molecolari sono in grado di creare una popolazione di Agrobacterium che abbia nel T-DNA, al posto dei geni che causano il tumore, il gene che si desidera trasferire nella pianta. Il batterio modificato viene poi utilizzato per infettare alcuni frammenti di tessuto vegetale. Le cellule che ricevono il plasmide T iniziano a dividersi producendo calli (masserelle di cellule indifferenziate) visibili ad occhio nudo. Frammentando il callo e trattandolo con una miscela calibrata di ormoni vegetali si rigenerano le pianticelle che possiedono il gene nuovo (transgeniche). Purtroppo, questo sistema rapido, semplice ed efficiente, funziona solo con piante dicotiledoni (es. pisello, fava, soia, lenticchie, ecc.) e non con le monocotiledoni, famiglia che comprende i cereali e quindi molto importante dal punto di vista economico.
Bombardamento genico. Le cellule vegetali sono particolarmente resistenti alla trasformazione perché sono rivestite esternamente da una spessa parete cellulare. Per far arrivare il DNA d'interesse fino al nucleo è quindi necessario usare le maniere forti. Nella tecnica del bombardamento genico, il DNA d'interesse viene attaccato sulla superficie di goccioline d'oro che vengono sparate ad altissima velocità contro le cellule da trasformare. Il proiettile genico arriva fin nel nucleo ed il DNA straniero si intrufola nel patrimonio genetico della cellula ricevente.
Metodo dei protoplasti. Se alle cellule vegetali si toglie la parete (con enzimi detti cellulasi) si ottengono dei protoplasti. Questi sono più facili da trasformare e, alla fine, possono comunque dare origine ad una nuova piantina, anche se con qualche difficoltà in più rispetto alla cellula integra. I protoplasti possono assorbire DNA nudo, soprattutto se vengono stimolati con piccole scosse elettriche. I buchi che si formano transitoriamente nella membrana consentono al nostro DNA di entrare, di raggiungere il DNA cellulare e di integrarsi. In alternativa, si può mettere il DNA da trasferire in "sacchettini" simili per composizione alla membrana dei protoplasti (liposomi). I liposomi si fondono molto facilmente con i protoplasti e rilasciano il DNA estraneo nella cellula vegetale.

Espressione dei geni eterologhi in Microrganismi

L’obiettivo primario della clonazione dei geni biotecnologici è l’espressione del gene in un ospite prescelto.
Sfortunatamente l’inserimento del gene in un vettore di clonazione non garantisce che esso venga espresso davvero. Per di più le leggi del mercato, già perché di prodotti commerciali stiamo parlando, esige che la proteina codificata dal gene clonato venga prodotta a ritmi elevati.
Per rispondere a queste leggi di mercato si sono creati molti vettori di espressione speciali manipolando un certo numero di vari elementi genetici che controllano aspetti della trascrizione, della traduzione, della stabilità proteinica, della limitazione dell’ossigeno e della cellula ospite.
Più specificatamente, tra le caratteristiche biologico-molecolari che sono state manipolate per modulare l’espressione genica si annoverano:
  1. la natura delle sequenze promotrici e di arresto della trascrizione  pertinenti;

  1. la forza del sito di legame per il ribosoma;

  1. il numero delle copie del gene clonato e la scelta se il gene debba essere trasportato da plasmidio oppure integrato nel genoma della cellula ospite;

  1. la localizzazione finale, nella cellula, della proteina estranea sintetizzata;

  1. il rendimento della traduzione nell’organismo ospite;

  1. la stabilità della proteina del gene clonato all’interno della cellula ospite.

Il livello di espressione di un gene estraneo dipende pure dall’identità dell’organismo ospite.
Così, oggi, pur avendo a disposizione una gran varietà di possibili organismi ospiti procariotici ed eucariotici, la maggior parte dei prodotti proteici di importanza commerciale ottenuta mediante la tecnologia del DNA ricombinante è sintetizzata in Escherichia coli. Questo perché E. coli è l’organismo più conosciuto da tutti i punti di vista: biologico molecolare, biochimico e fisiologico. Inoltre E. coli è capace di produrre molte proteine rapidamente a basso costo.
Altri sistemi, però, sono il Bacillus subtilis, Saccharomyces cerevisiae, cellule animali e vegetali e di insetto.

Vettori d'espressione procariotici
Perché esprimere geni in sistemi eterologhi.
Molte proteine funzionalmente determinanti nel differenziamento cellulare sono scarsamente rappresentate a livello quantitativo nelle cellule in cui sono espresse abitualmente. L'interesse a studiare queste proteine a forte interesse biologico ha stimolato lo sviluppo di un folto gruppo di vettori per l'espressione in organismi eterologhi.

Quali sistemi eterologhi utilizzare per l'espressione dei geni
Esprimere proteine in sistemi eterologhi é impresa tutt'altro che facile, in gran parte, a causa della complessità strutturale delle proteine e del loro "difficile" rapporto con la funzione. A differenza di altre macromolecole biologiche, come i polisaccaridi o gli acidi nucleici, che sono strutturate in modo regolare a partire da poche unità monomeriche, le proteine sono formate dall’assemblaggio di ben venti aminoacidi, ciascuno dei quali caratterizzato da proprietà chimico-fisiche distinte. Conseguentemente le proteine possono assemblarsi nello spazio in un numero pressoché infinito di configurazioni. Nel corso dell’evoluzione le strutture proteiche si sono affinate in rapporto alle specifiche funzioni che sono andate assumendo ed il risultato finale è spesso conseguito e/o stabilizzato da una serie di altri fattori come, ad esempio, la presenza di ponti disolfuro, la modificazione post-traduzionale di residui amminoacidici, o la presenza di proteine capaci di assistere il folding corretto. Poiché la presenza di questi co-fattori non è ubiquitaria è essenziale considerare con attenzione "dove" esprimere un gene d'interesse.

  
Prototipo di vettore d'espressione

   Un vettore d’espressione è innanzitutto un vettore, generalmente di piccole dimensioni, che deve contenere un’origine di replicazione per l’ospite prescelto, uno o più marcatori di selezione ed almeno un sito unico di riconoscimento per una endonucleasi di restrizione. I segnali che assicurano l’espressione genica nei procarioti, inoltre sono molto diversi e se un gene eucariotico viene semplicemente trasferito in una cellula batterica ha poche probabilità di essere espresso. E’ necessario quindi sostituire le sequenze regolative eucariotiche con sequenze regolative di tipo batterico. Naturalmente se il gene che vogliamo esprimere deriva da una sequenza genomica contenente introni è necessario retro-trascriverne il messaggero e clonarlo nel vettore d’espressione come cDNA, visto che E. coli non possiede un apparato di splicing in grado di rimuoverli.
Dunque, costruire un vettore d’espressione significa essenzialmente costruire un vettore di replicazione contenente tutti quei segnali capaci di ottimizzare e regolare la corretta trascrizione e traduzione di geni eterologhi nell’ospite in cui avviene l’espressione. E’ inoltre importante ottimizzare la stabilità della proteina e, se possibile, facilitarne la purificazione.
In sostanza si deve costruire quella che viene chiamata “cassetta di espressione”, cioè una sequenza di DNA che contenga oltre al gene d’interesse, anche il promotore e i componenti necessari per la selezione delle cellule trasformate e l’espressione del gene ospite.


Tabella 1 Cassetta di Espressione
Promotore
35S
Gene
???
Marker
NptII
Reporter
Gus
Terminatore
Nos-ter

Il promotore è una sequenza di DNA che viene riconosciuta dal complesso di enzimi che presiedono alla trascrizione del gene nel messaggero e quindi nella proteina corrispondente. E’ molto usato un promotore ricavato da un virus del mosaico del cavolfiore (35S).
Il marker è un gene che permette di selezionare le cellule trasformate rispetto a quelle non trasformate. Si basa, per es., su geni che conferiscono resistenza ad antibiotici (ad esempio il gene nptII, che dà resistenza alla kanamicina). Una volta che la “cassetta di espressione” è stata incorporata nelle cellule procariotiche, il gene che dà resistenza all’antibiotico ‘difende’ le cellule stesse dall’antibiotico che è stato aggiunto al mezzo di coltura. Le cellule che non hanno la “cassetta di espressione” muoiono.
Oltre al gene nptII, che conferisce resistenza alla kanamicina, si possono usare geni che danno resistenza ad altri antibiotici(igromicina, gentamicina, streptomicina, bleomicina, ecc.).
Accanto al gene utile per la selezione dei trasformati, si usano generalmente altri geni, chiamati geni reporter, che servono a verificare l’avvenuta trasformazione. Questi sono geni che codificano per marcatori fenotipici facilmente rilevabili:così ad esempio, il gene gus, che codifica per l’enzima b-glucuronidasi, che in presenza dell’appropriato substrato produce una sostanza di colore blu; oppure il gene GFP (green fluorescent protein) che codifica per una proteina che dà fluorescenza se eccitata agli UV.


Ottimizzazione della Trascrizione

Il livello di espressione di un gene dipende in larga misura dalla forza e dalla capacità di regolazione del promotore che lo controlla determinando la frequenza con la quale la RNA-polimaresi inizia la trascrizione.
Sono stati isolati ed ottimizzati un certo numero di promotori forti di E. coli che sono presenti nella maggior parte dei vettori d’espressione attuali. In più, poiché il livello di conoscenza dei promotori procariotici è molto avanzato, sono stati elaborati anche promotori, in parte o totalmente sintetici, sulla base delle sequenze consenso ottimali.
Un promotore procariotico tipico è costituito da circa 40 bp contenenti due sequenze consenso a –35 bp dal sito d’inizio del gene (TTCAGA) e a –10 bp dal sito d’inizio(TATAAT).
Tra i promotori forti più utilizzati ci sono: lac, lacUV5, trp, tac, T3, T7, lamdaPR, lamdaPL
I Vettori d'espressione sono regolati

In analogia con i sistemi naturali anche i vettori d’espressione devono essere regolati. L’espressione di un gene eterologo può sempre risultare letale o comunque tossica per un batterio portandolo alla morte o rallentando la velocità di crescita. Inoltre, l’espressione costitutiva di un gene eterologo facilita l’attivazione dei meccanismi di difesa batterici tesi a distruggere il materiale estraneo ad essa (DNA o proteine non-self).Infine se è possibile risulta più pratico riuscire ad esprimere in maniera controllata dallo sperimentatore l’espressione del gene eterologo. I sistemi di regolazione dell’espressione genica nei batteri sono estremamente efficienti e rapidi nel modulare l’espressione genica in risposta a stimoli ambientali e, in più, sono noti in grande dettaglio. Per questo, tutti i sistemi di regolazione dei vettori d’espressione sono presi a prestito da quelli batterici o da quelli di batteriofagi. I promotori forti più utilizzati sono lac e trp di E. coli.
Nel caso del Operone lac è noto che il repressore del lattosio, codificato dal gene lacI, si lega alla sequenza dell’operatore del lattosio, reprimendone la trascrizione di tutti i geni, fino a quando la presenza di un b- o di un tio-galattosidepiranoside (IPTG)  non induce una modificazione allosterica nel repressore che perde così affinità per l’operatore permettendo, così la trascrizione da parte della RNA-polimerasi.
Così, anche, tutti i sistemi di regolazione utilizzati dai vettori d’espressione utilizzano dunque un sistema binario formato da un Operatore, che generalmente è posizionato all’interno del promotore, e da un gene che codifica per il Repressore corrispondente (per es. lacO e lacI). Poiché il repressore agisce in trans, può essere posizionato sia nel cromosoma batterico che nello stesso vettore d’espressione.

Utilizzo di ospiti d'espressione
Per esprimere proteine in E.coli utilizzando vettori d'espressione è necessario utilizzare appositi ospiti d'espressione. Il primo requisito di questi ceppi di coli è di contenere i geni per specifici repressori( spesso sovra-espressi) insieme a delezioni parziali o totali degli operoni corrispondenti ( altrimenti l'aggiunta dell'induttore indurrebbe tutti i geni dell'operone oltre al gene d'interesse ). Per esempio se utilizziamo un vettore della serie pQE, inducibile con IPTG e contente l'operatore lacO, dobbiamo utilizzare un ceppo di coli lacI+ ma lac- , per esempio W3110 con genotipo lacIqL8 Delta(lac-proAB), dove lacIqL8 corrisponde ad una mutazione "up" di lacI sovra-esprimente il repressore lacI.In genere si costruiscono i costrutti d'espressione in ospiti intermedi rec-, per es. HB101, e quindi si trasferisce il costrutto in un E.coli d'espressione ( a volte rec+) Per evitare influenze negative sul metabolismo batterico in genere si utilizzano induttori "gratuiti" o non metabolizzabili come l'IPTG (iso-propil-tio-galattoside).

Sistemi di regolazione stringente
La repressione dell'espressione del gene ricombinante basata sui sistemi di repressione tradizionali, per sua natura, non può essere completa e i livelli residui di espressione, seppur estremamente bassi, possono ostacolare seriamente sia la crescita batterica che l'espressione della proteina ricombinante. Per superare queste difficoltà sono stati sviluppati dei sistemi di regolazione fine che assicurano un controllo più stringente della trascrizione del gene ricombinante. Un primo approccio a questo problema consiste nel posizionare il gene che codifica per il repressore su un secondo plasmide indipendente che replichi ad alto numero di copie. Il plasmide deve contenere un marcatore di resistenza diverso da quello utilizzato dal vettore di espressione e deve contenere un origine di replicazione di E. coli appartenente ad un differente gruppo di incompatibilità. Un esempio e' rappresentato dal plasmide Rep4 che contiene il gene codificante per il repressore del lattosio. Una seconda strategia, ampiamente utilizzata dai vettori della serie pET, consiste nel clonare il gene ricombinante a valle del promotore del batteriofago T7, utilizzabile solo dalla polimerasi virale corrispondente, il cui gene, a sua volta , e' integrato nel cromosoma batterico sotto il controllo del promotore lac UV7. Si ottiene così un duplice controllo in cui s’induce con IPTG l'espressione del gene per la RNA polimerasi di T7 che, a sua volta, trascriverà esclusivamente il gene ricombinante sotto il controllo dell'unico promotore in grado di riconoscere.

Ottimizzazione della terminazione della trascrizione e della traduzione
Specifici terminatori trascrizionali sono utilizzati per segnalare alla RNA polimerasi di rilasciare lo stampo di DNA ed interrompere la trascrizione del RNA neosintetizzato, Questi terminatori sono normalmente posizionati subito a valle del sito di clonaggio e agiscono per prevenire possibili read-trough della trascrizione. Quanto più forti sono i promotori usati, tanto più necessari sono i terminatori, tra cui i più utilizzati sono rrnB T1 e T2 derivati dal5S rRNA di E.coli.
Una volta sintetizzato uno specifico mRNA, questo, per essere efficientemente tradotto in E. coli ha bisogno di legarsi al ribosoma. La sequenza di legame al ribosoma nel messaggero procariotico si trova nella sequenza leader trascritta , ma non tradotta ed è costituita dalla sequenza d'inizio AUG e dalla sequenza di Shine-Dalgarno posizionata tra 7 e 9 nucleotidi a monte dell’AUG e comprendente la sequenza A GG A GG o parte di essa. La Shine Dalgarno è complementare ad una sequenza altamente conservata situata vicino alla estremita’ 3’ dell’ rRNA 16S.


Esempi di promotori regolati
  
Vettori pBAD
Questa famiglia di vettori d’espressione si basa su un promotore regolato dall’Arabinosio la cui caratteristica saliente consiste nella inducibilità dose-dipendente della espressione dei geni clonati sotto il controllo di pBAD.

Vettori pET
I vettori pET e i loro derivati costituiscono una famiglia assai numerosa di vettori d’espressione accomunati dall’utilizzo di un sistema di espressione basato sull’utilizzo della polimerasi di T7, originariamente elaborato da Moffat e Studier. In questo sistema il gene d’interesse viene clonato sotto il controllo di un promotore specifico per la T7 RNA polimerasi e trasferito in un ospite contenente il gene codificante la T7 RNA polimerasi sotto il controllo di un promotore inducibile con IPTG. Introducendo IPTG nel mezzo si induce selettivamente l’espressione della polimerasi virale che, a sua volta, inizia a trascrivere esclusivamente i geni posti sotto il controllo del "suo" promotore. In questo modo si riesce ad ottenere allo stesso tempo una regolazione stringente con livelli d’espressione eccezionalmente elevati.

Vettori basati sui promotori tac
Numerosi vettori sono basati sul classico promotore tac o suoi derivati. Il promotore, sviluppato da E. Amman, è un promotore ibrido formato dal –35 del promotore trp e dal –10 del lacUV5. Il promotore è regolato dall’operatore del lattosio e, quindi, è inducibile con IPTG. I livelli di espressione sono alti ma la regolazione non è molto stringente.
Vettori basati su promotori Lambda PL
In questo tipo di vettori l’espressione viene diretta dal promotore forte del fago lambda PL e regolata dal repressore di lambda cI. A sua volta l’espressione di cI è regolata. Quando cI è espresso si lega PL e reprime l’espressione del gene sotto il suo controllo Nei vettori pTrxFus, per esempio, il gene cI è clonato sotto il controllo di un promotore triptofano-specifico che viene specificamente represso dall’addizione di triptofano del mezzo con conseguente repressione della sintesi di cI.e induzione del gene clonato sotto il controllo di PL
Vettori basati su promotori Lambda PR
Questi vettori, per es. pRIT2T, vengono repressi da una versione termostabile di cI, stabile a 37°C ma inattivata a 42°C. Alzando la temperatura a 42°C si inattiva il repressore liberando la RNA pol dalla repressione di cI e attivando l’espressione del gene d’interesse.
Vettori basati sul promotore del fago
 Sostengono livelli di espressioni estremamente alti, sono indotti da IPTG e regolati da un doppio operatore lac.
Vettori basati sul promotore tetA
I vettori Biometra pASK75. Si basano sul promotore tetA e sono indotti da concentrazioni bassissime, biologicamente indifferenti, di anidrotetraciclina.


L'evoluzione dei vettori d'espressione

Le conoscenze di base che permettono l'espressione di geni eterologhi in E. coli si sono lentamente evolute e si è passati dal problema iniziale di esprimere" tout court" un gene a quello di esprimerlo in modo che sia abbondante, facilmente purificabile e, se possibile, con il corretto folding. Si è notato che nelle cellule ospiti le proteine estranee, specialmente quelle piccole, si presentano spesso in quantità minuscole. Questo basso livello di espressione è dovuto in molti casi alla degradazione della proteina estranea da parte di proteasi batteriche. Uno dei modi per risolvere il problema e quello di legare covalentemente il prodotto del gene clonato con una proteina stabile dell’ospite. Tale combinazione, che prende il nome di Proteina di Fusione, protegge il prodotto del gene clonato dalla degradazione da parte delle proteasi dell’ospite. Le proteine di fusione si costruiscono a livello del DNA saldando le regioni codificatrici dei due geni. Come esempio si può citare l'espressione del precursore dell'ormone della crescita, o ormone somatotropo, la cui espressione ha costituito uno dei primi successi di espressione in E. coli ed è stata ottenuta utilizzando un "normale" vettore di clonaggio. Il trucco consiste nell'utilizzare il sito unico di restrizione PstI e clonare "in frame" il cDNA del Pre-GH costruendo, così, una fusione genica costituita dal signal peptide del gene Bla (Beta-lattamasi) fusa a Pre-GH sotto il controllo transcrizionale del promotore di Bla. In questo modo si riesce, non solo ad esprimere Pre-GH, ma anche a farlo indirizzare nello spazio periplasmatico dove è meno attaccabile dalle proteasi e più facili da purificare. Poichè il clonaggio nel sito PstI rappresenta una normale strategia di clonaggio in PBR 322, è possibile che questo primo esempio d’espressione eterologa sia stato frutto del caso ma in ogni modo ha evidenziato alcuni punti importanti:
  • Le fusioni geniche proteggono dalla degradazione e aumentano i livelli d’espressione costituendo un'ottima strategia d’espressione
  • I componenti della fusione genica devono sempre essere nello stesso "frame" (o cornice d’espressione).
  • E' possibile inserire dei signal peptide o dei segnali di localizzazione per indirizzare la proteina ricombinante in compartimenti definiti (di solito nello spazio periplastico o nel mezzo esterno
I vettori di espressione di ultima generazione includono spesso più di un'origine di replicazione, permettendo così al vettore di essere veicolato tra ospiti diversi, dei polilinker con molti siti di restrizione unici, ma specialmente hanno dei "tag" che permettono, in un unico passaggio di purificazione, di isolare la proteina ricombinante dalle altre proteine di E.coli per cromatografia di affinità. Poiché molti tag di fatto, costituiscono anche degli ottimi partner di fusione, ormai tutti i sistemi ottimizzati per esprimere prodotti di fusione includono peptidi purificabili per affinità. Inoltre praticamente tutti i sistemi prevedono la possibilità di rimuovere la proteina d'interesse dal partner di fusione e per questo sono presenti dei siti di taglio riconosciuti da proteasi. Perché la presenza del segmento proteinico dell’ospite rende la maggior parte delle proteine inadatte all’uso clinico e influire sul suo funzionamento biologico. Diviene , quindi, necessaria la disponibilità di strategie atte ad eliminare dalla proteina bersaglio la sequenza amminoacidica indesiderata. Uno dei modi per farlo consiste nel congiungere la proteina bersaglio a quella dell’ospite tramite brevi tratti di amminoacidi che sono riconosciuti da una proteasi non batterica specifica. Ad esempio, si può congiungere con il gene clonato un linker oligonucleotidico che codifica la sequenza Ile-Glu-Gly-Arg. Così dopo la sintesi e la purificazione della proteina di fusione, per liberare la proteina del gene clonato da quella ospite , si può utilizzare un fattore di coagulazione del sangue detto Xa; si tratta di una proteasi specifica che scinde i legami peptidici unicamente sul lato C-terminale della sequenza Ile-Glu-Gly-Arg.

                                Sito di taglio di Xa
…Thr-Ala-Glu-Gly-Gly-Ser-Ile-Glu-Gly-Arg-Val-His-Leu……
altri esempi sono dati da:
  • 6xHis tag Questa sequenza
  •  di poli-istidine può essere purificata per affinità su resine di NTA -Ni (Ni complessato ad acido nitriltriacetico) ed ha la peculiarità di funzionare anche con proteine denaturate con guanidina idrocloruro o con urea. Grazie alle sue piccole dimensioni, alla sua eccezionale affinità per il Ni, e alla sua versatilità ( può essere messo all N teminale, al C-terminale e persino inserito, in frame, all'interno della proteina), costituisce un sistema di larga diffusione e utilizzato sia come tale che fuso a una quantità di ulteiori partner (es. il DHFRS diidro folato reduttasi ) a dare prodotti di fusione tri-partiti 6xHis-X-Y di eccezionale stabilità.
  • CBP tag (Calmodulin-Binding Peptide) I vettori della serie pCal contengono una sequenza che codifica una CBP di circa 4 kDa, permettendo ai prodotti di fusione espressi con questo sistema di legarsi a colonna di calmodulina. L'eluizione della proteina purificata avviene in presenza di EGTA in condizioni estremamente delicate.
  • GST tag I vettori della serie pGEX codificano per una Glutatione S-transferasi, di circa 26 kDa, purificabile su resine legate a glutatione.
  • Proteina A I vettori della serie pEZZ e pRIT commercializzati dalla Pharmacia contengono un peptide con caratteristiche simili alle IgG capace di legarsi alla proteina A . i vettori pRIT contengono inoltre un signal peptide capace di indirizzare le proteine di fusione nel periplasma. Questo sistema, pur decisamente datato, é estremamente efficiente e ancora utilizzato.
  • Epitopi biotinilati I vettori della serie PinPoint™, commercializzati dalla Promega contengono dei tag biotinilabili in vitro che possono essere purificati su colonne di streptavidina.

  • MBP tag (Maltose Binding Protein) I vettori che esprimono MBP contengono il gene malE e possono legarsi a colonne di amilosio. Sembra, inoltre, che la presenza di MBP mogliori le proprietà di solubilità del prodotto di fusione.

  • Tioredoxina Anche le fusioni che includono la tioredoxina migliorano la solubilità dei prodotti di fusione, probabilmente assistendo il folding della proteina chimerica. I prodotti di fusione sono facilmente purificabili su resine di PAO (4-aminephenylarsine oxide)

Ancora qualche trucco
Un' ulteriore passo avanti é stato compiuto recentemente con l'introduzione di un vettore di espressione capace di esprimere prodotti di fusione che ,dopo purificazione su colonne di chitina, possiedono la rimarchevole capacità di auto-catalizzare la rimozione del peptide d'interesse dal partner di fusione. Questa capacità é mediata da una proteina, nota come Inteina, che é capace di effettuare splicing proteico. Il sistema di fusione produce un CBP tag, seguito da una Inteina derivata dal gene VMA1 di Saccharomyces cerevisiae e, per ultimo la proteina che vogliamo esprimere. L'elemento di splicing é stato ingegnerizzato per effettuare una reazione di self-cleavage in ambiente riducente e a bassa temperatura, permettendo così di purificare la proteina target pura.

Problemi
Nonostante le enormi potenzialità dell'espressione in E.coli, una serie di problemi ne hanno limitato lo sfruttamento industriale su larga scala e rendono l'espressione eterologa in coli un' impresa non sempre facile. I principali problemi sono legati alle resa, alla insolubilità, e alla mancanza di attività della proteina ricombinante e alla incapacità di E.coli di operare molte modificazioni post-traduzionali essenziali per il folding e l'attività proteica. Affrontare questo tipo di problematica è assai complesso . Alcune strategie generali prevedono:
  • l'utilizzo di ospiti batterici deficienti in alcuni enzimi proteolitici.
  • l'utilizzo di fusioni geniche. questa strategia assicura che la metionina iniziale venga riconosciuta e trattata dalle aminopeptidasi batterici. Le metionine eucariotiche non vengono riconosciute e identificano immediatamente la proteina ricombinante come non-self
  • La co-espressione di proteine ricombinanti con chaperonine batteriche e la crescita a bassa temperatura.
  • La purificazione di proteine insolubili, con successiva solubilizzazione in agenti denaturanti o caotropici e,infine, refolding e recupero dell'attività.
Un altro problema deriva dalla limitatezza dell’ossigeno. Per poter crescere, E. coli, come la maggior parte degli altri microrganismi adoperati per esprimere le proteine estranee, richiede generalmente l’ossigeno, che sfortunatamente si discioglie nei mezzi acquosi di coltura in misura molto limitata. La conseguenza di ciò è che, mentre aumenta la densità delle cellule batteriche, le cellule necessitano sempre più di disponibilità ci ossigeno impoverendo il terreno rapidamente del prezioso gas.
Quando le cellule dispongono di limitate risorse di ossigeno, la loro crescita rallenta e la coltura entra ben presto in un fase di stasi, durante la quale muta il metabolismo cellulare. Una conseguenza della fase stazionaria è la produzione, da parte delle cellule ospiti, di proteasi capaci di degradare la proteina clonata.

Per risolvere questo problema si è tentato tanto di modificare la configurazione della fermentazione per migliorare l’aerazione e l’agitazione delle cellule quanto di aggiungere al mezzo di coltura della sostanze chimiche che aumentino la solubilità dell’ossigeno. Questi sforzi non hanno portato, purtroppo, a grandi risultati.