di Nannai
Il Neoproterozoico (1.000 – 570 m.a.)
Il periodo che va dai 1000 ai 545
milioni di anni fa (Neoproterozoico) è un complesso mosaico di grandi
sconvolgimenti geologico - ambientali, alcuni dei quali non hanno l’equivalente
nel Fanerozoico. Si tratta del periodo nel quale sono maturati l'esplosione filetica del Cambriano e gli importanti cambiamenti faunistici che
l’ hanno preceduta. Vale la pena di
delineare questo mosaico, in quanto è probabile che qualche tassello abbia
contribuito a creare le condizioni per i grandi cambiamenti biologici.
Il Neoproterozoico comincia con
un evento che si è ripetuto tre o quattro volte nella storia del pianeta, e
cioè l’aggregazione delle masse continentali in un’unica “Pangea” (Rodinia,
c. 1000 Ma). La formazione di una Pangea ha ricadute cospicue. Anzitutto
l’eustatismo negativo: il supercontinente si colloca a livello topografico
alto, per quello che viene chiamato effetto blanket (insufficiente
smaltimento del calore di origine profonda), ed è soggetto a diffusa alterazione
meteorica. Dato che questa consiste soprattutto in una carbonatazione dei
silicati, il processo utilizza CO2 atmosferico, e quindi è un fattore di raffreddamento del clima.
Nello stesso senso agisce la diminuzione del vulcanismo legata al ridotto sviluppo
delle dorsali oceaniche caratteristico della situazione di Pangea.
Un supercontinente è
intrinsecamente instabile per ragioni termiche, e in effetti anche Rodinia non
ebbe vita lunga. 700 Ma fa non solo si era già disgregata (con formazione di nuovo
bacini oceanici), ma era in fase di ri-aggregazione almeno parziale a bassa
latitudine, come ci dice il paleomagnetismo. Il risultato fu un nuovo
supercontinente (Gondwana) che si realizzò sui 650-600 Milioni di anni
fa riunendo quelli che sono gli attuali continenti australi, grazie ad una
serie di orogenesi collisionali, oggi perfettamente identificabili, e alla
conseguente chiusura di alcuni, relativamente effimeri, oceani post-Rodinia.
Il periodo da 700 a 600 Ma (“Criogeniano”),
dominato da grandi cambiamenti climatici, si aprì e si chiuse con due
glaciazioni che si estesero alle basse latitudini, e furono quindi di entità
superiore a quelle fanerozoiche. Alla frammentazione di Rodinia, infatti, non
si era associato un miglioramento climatico. Lo sviluppo di nuovi, lunghi
margini continentali sommersi (siti di rapida sedimentazione) aveva
probabilmente comportato un forte sequestro di anidride carbonica (CO2) atmosferica mediante rapido seppellimento di materiale organico.
La principale documentazione
delle glaciazioni è costituita da diamictiti che si intercalano entro le
sequenze neoproterozoiche. Questi peculiari conglomerati, infatti, sono
generalmente riferiti a deposito in ambiente glaciale, anche se non mancano
vedute alternative, e qualcuno li ha addirittura interpretati come prodotti di
impatto di grandi corpi extratellurici (impact ejecta). E’ notoria la
difficoltà di correlare tra loro le sequenze sedimentarie precambriche, data la
scarsità (quando non assenza) di fossili. Malgrado ciò, correlazioni
soddisfacenti sono state oggi raggiunte nel Neoproterozoico, grazie alla
estrema precisione delle datazioni radiometriche e in particolare del metodo
U-Pb su zirconi, che è stato applicato con successo sui livelli vulcanitici
intercalati nelle sequenze sedimentarie. Ha contribuito anche l’utilizzo di
indicatori isotopici misurati in sedimenti marini (in particolare C, S e Sr),
indicatori per i quali si sono potute costruire curve di variazione di valore
globale.
Il
numero delle glaciazioni neoproterozoiche è stato a lungo discusso, ma il
progresso delle correlazioni ha infine permesso di raggiungere un ampio
consenso. Si riconoscono una glaciazione intorno a 700 Ma (Sturziana) ed
una a 600-590 Ma (Marinoana), entrambe note anche con vari altri nomi
regionali, tra le quali si colloca un picco del valore del rapporto 34S\32S
probabilmente connesso con una variazione dell’attività dei batteri
solfato-riducenti (i quali utilizzano selettivamente l’isotopo leggero). A
queste due glaciazioni se ne aggiunge dubitativamente una meno importante a 570
Ma. La correlazione copre ormai un ambito amplissimo, dall’Australia al
Canada alle Svalbard alla Namibia alla Polonia alla
Siberia al Mali, solo per citare le ubicazioni più note.
E’ sulla base di questi caratteri
che è stato proposto per queste glaciazioni, in particolare per la Marinoana,
il cosiddetto modello Snowball Earth, il quale assume una glaciazione
globale incrementata per feedback positivo dall’aumento dell’albedo,
glaciazione che avrebbe portato all’annullamento dell’attività biologica negli
oceani. Ingegnoso quanto controverso, il modello postula una deglaciazione
dovuta a un effetto serra indotto dal CO2
di origine vulcanica e dalla assenza del sink costituito dalla
materia organica e incrementato (feedback positivo) dal vapor d’acqua
creato dalla deglaciazione stessa. In un’atmosfera ricca di CO2, piogge acide avrebbero portato molti
cationi all’oceano inducendo rapida precipitazione di carbonati (cap
carbonates). Il modello dovrebbe presupporre il venir meno dell’apporto di
detrito continentale nel periodo glaciale, e quindi una diminuzione del valore
di 87Sr\86Sr che però non si riscontra (al contrario, si ha un aumento).
Con la formazione del cap
carbonate marinoano si fa cominciare l’ultimo periodo del Neoproterozoico
(“Neoproterozoico Terminale”). Sempre in condizioni di Pangea, compaiono i
grandi acritarchi acantomorfi e poi, a circa 570 Ma, la fauna
di Ediacara, che potrebbe avere trovato il suo spazio ecologico preparato
dal declino degli stromatoliti e dalla probabile estinzione di massa legata
alla glaciazione marinoana. Comparsa in corrispondenza di una anomalia negativa
di delta 13C, tale fauna scompare
a circa 544 Ma con un’altra anomalia negativa di delta 13C ed una anomalia positiva di iridio analoga a quella del
limite Cretacico-Terziario: due fattori che suggeriscono una estinzione di
massa causata da impatto meteoritico. La durata dell’anomalia di C è valutata
sul milione di anni. A circa 544 Ma risale anche la drastica diminuzione di
ampiezza della curva di variazione di delta 13C, che taluno attribuisce all’effetto di tampone degli
organismi secretori di carbonato.
Un imbarazzante gap faunistico
di circa 15 Ma, riempito solo dai peculiari taxa del Tommotiano, sembra
interporsi tra l’estinzione della fauna di Ediacara e la principale esplosione
filetica.
Abbiamo lasciato l’evoluzione
geologica al tempo della grande glaciazione marinoana: al limite Pc/C le
condizioni sono cambiate. Gondwana sta frammentandosi e tra i frammenti si
sviluppa un intenso vulcanismo da rift che va arricchendo l’atmosfera in
CO2. Mentre il clima si scalda, e
si alza il livello eustatico, piattaforme continentali sommerse e mari
epicontinentali forniscono un’abbondanza di nicchie ecologiche. Un’estinzione
di massa ha creato spazio ecologico.
La frammentazione di Gondwana, e gli eventi che la
precedono, predispongono condizioni favorevoli per l’esplosione della Vita.
Forse Gaia, questa volta “coglie l’occasione” che aveva perso con la
frammentazione di Rodinia?
La Fauna di Ediacara
I primi ritrovamenti di organismi pluricellulari vennero
fatti da ricercatori tedeschi in Namibia (Africa sudoccidentale).
La scoperta delle faune
pluricellulari precambriane è tuttavia associata agli affioramenti delle
colline di Ediacara, una zona arida e desolata dell’Australia sud-occidentale a
circa 600 km a nord di Adelaide. La fauna di Ediacara è costituita da impronte
(positive e negative) di macro-fossili (invertebrati) la cui età è compresa tra
620 e 550 milioni di anni. Inizialmente questa associazione si pensava fosse
esclusiva dell’Australia, ma in seguito verrà trovata anche in Nord America,
Europa ed Asia, risultando essere tipica del Tardo precambriano. Tutti gli
autori concordano nel ritenere che la fauna di Ediacara fosse costituita da
organismi dal corpo molle privi di parti dure. E pare che il paleoambiente
fosse localizzato nella zona fotica. La fauna di Ediacara, che si è sviluppata
tra il 580 e il 560 milioni di anni fa, dà il nome ad un intervallo
stratigrafico chiamato Ediacariano, che è delimitato inferiormente dalle
ultime tilliti della glaciazione Varangeriana (avvenuta tra 650 e 630 m. a. fa)
e superiormente dalla base del Cambriano.
La fauna tipica di Ediacara
sembra estinguersi nella parte alta dell’Ediacariano che è caratterizzata da
Acritarchi alghe pluricellulari e tracce fossili abbondanti e ben
differenziate.
Composizione: I componenti della fauna di Ediacara
(circa 100 specie) posseggono dimensioni che variano da pochi centimetri a
qualche decimetro. I tipi morfologici più comuni sono:
1)
Impronte “medusoidi” a profilo circolare con struttura
concentrica dominante e simmetria radiale subordinata (gen. Cyclomedusa, Eoporpita,
ediacaria, Ovatoscutum, Medusinites, ecc)
2)
Impronte “medusoidi” a simmetria radiale di ordine
variabile e provviste di strutture particolari interpretate nei vari generi
come tentacoli marginali (Hiemalora), gonadi /Hallidaya, Elasenia), canali gastrovascolari
(Rugoconites), cavità gastrali (Bonata).
3)
Impronte circolari a simmetria radiale di ordine
costante dal cui centro si diparte una struttura triradiale costituita da raggi
semplici uncinati (Tribrachidium) o multiramificati (Albumares, Anfesta).
4)
Impronte frondiformi di organismi apparentemente
coloniali molti dei quali sono privi di uno stelo assiale ma provvisti di una
struttura di ancoraggio a forma di bulbo.
5)
Impronte da ovoidali ad allungate costituite da un capo
a forma di ferro di cavallo o di mezzaluna e da un corpo che porta un numero di
segmenti variabile da cinque a oltre quaranta.
6)
Impronte ovali a forma di scudo con un bordo anteriore
rilevato e una cresta mediana dalla quale si dipartono solchi radiali
interpretati come appendici.
Il problema dell’interpretazione sistematica
La fauna di Ediacara è oggetto attualmente di due
interpretazioni:
a)
La prima, sostenuta da Glaessner (1984) e dalla scuola
australiana, afferma che questi organismi costituiscano i rappresentanti
primitivi di alcuni gruppi attuali (celenterati, anellidi, artropodi, ecc.). Ad
es., alcune forme frondiformi rientrerebbero negli ottocoralli (Ranger e
Charnia) o nei pennatularidi (Charniodiscus, Pteridinium)(Jenkins,
1985), forme ovali come Dickinsonia sono state avvicinate a vermi segmentati,
mentre forme allungate come Spriggina non sarebbero altro che artropodi
precursori del phylum Multiramia che comprende trilobiti, crostacei e
chelicerati.
b)
Secondo Fendonkin (1985;1986), il carattere primitivo
della simmetria radiale (Radiata) rispetto a quella bilaterale (Bilateralia)
è documentato dalla sua maggiore frequenza nella Fauna di Ediacara, cioè
all’inizio della storia degli animali. Su questa base l’autore asserisce anche
che i celenterati sarebbero anche il gruppo più primitivo dei Metazoi. Egli
riconosce anche che l’organizzazione bilaterale segmentata che è alla base
della locomozione peristaltica, è ben rappresentata nel Vendiano.
c)
La seconda interpretazione, sostenuta da Seilacher, e
seguita anche da Jan Bergstrom, propone che gli organismi a corpo molle del
Vendiano non hanno nessuna affinità con i metazoi del Fanerozoico ma che
rappresentino un gruppo a se stante di organismi multicellulari (Vendozoa)
che si estinsero poco prima della fine del Precambriano. In particolare è stato
osservato che le stesse impronte “medusoidi”, ritenute le forme più facilmente
interpretabili, hanno in realtà una distribuzione degli elementi radiali e
concentrici invertita rispetto alle vere meduse del Fanerozoico. Sempre secondo
l’ipotesi di Seilacher, il modello funzionale della fauna di Ediacara
caratterizzato da morfologie unipolari, bipolari e radiali con una struttura
pneumatica “a trapunta” non sarebbe
stato adeguato all’avvento dei predatori macrofagi. Anche il tegumento sottile
ed elastico che probabilmente rivestiva gli organismi di Ediacara, non
costituiva certamente una resistenza efficace contro la predazione. In
definitiva secondo Seilacher i Vendozoa rappresenterebbero un esperimento
evolutivo fallito. I progenitori dei metazoi attuali andrebbero ricercati negli
organismi che hanno lasciato le numerose tracce fossili nella parte alta del
Vendiano.
Una caratteristica comune a tutti
i rappresentanti della Fauna di Ediacara è quella di avere un corpo quasi
laminare con superficie corporea molto ampia e un volume corporeo estremamente
ridotto. Poiché questi organismi non presentano traccia di bocca di sistemi circolatorio, respiratorio e
digerente, è probabile che tutti i processi metabolici avvenissero attraverso
il corpo che quindi doveva necessariamente avere un elevato rapporto
superficie/volume. Queste caratteristiche si accordano molto bene con un modo
nutrizionale fotoautotrofico o chemiotrofico che presuppone rapporti simbiotici
con alghe o batteri.
È interessante osservare che la
presenza di diversi esemplari perfettamente conservati trovati nelle torbiditi
dell’isola di Terranova e dell’Inghilterra può essere imputabile a fenomeni di
trasporto, a modo di vita pelagico oppure può favorire l’ipotesi
dell’endosimbiosi con batteri chemiosintetici piuttosto che con organismi
fotosintetizzanti; questa ipotesi richiama il caso di alcuni pogonofori[1]
attuali simbionti con batteri chemioautotrofi, per i quali è stato coniato il
termine di “animali autotrofi”.
L’associazione ospite-simbionte
risulta particolarmente favorita in acque povere di risorse trofiche come
dovevano essere quelle dei mari del tardo Precambriano.
Scomparsa: Il problema
della scomparsa della Fauna di Ediacara va considerato nel contesto delle
osservazioni precedenti; in particolare le cause della estinzione, la prima tra
i Metazoi, sono state attribuite prevalentemente:
1)
all’affermarsi di nuove strategie alimentari come l’eterotrofia molto più efficiente
rispetto alla fototrofia e alla chemiotrofia e in particolare al successo dei predatori.
Ciò sarebbe provato anche dal declino degli stromatoliti, iniziato attorno a
800 milioni di anni fa, i cui tappeti algali venivano presumibilmente consumati
da animali mobili provvisti di apparati radulari.
2)
A un fenomeno di eutrofizzazione degli oceani
documentato da un imponente aumento di depositi fosfatici.
3)
A un evento oceanico anossico (anossia)
accompagnato da una successione di fasi regressive-trasgressive, la più
importante delle quali è documentata nella Piattaforma dello Yangtze da uno
hiatus all’inizio della trasgressione Meishucuniana.
[1] Pogonofori = animali
vermiformi cubicoli molto lunghi e sottili, privi di apparato digerente, che
vivono nelle grandi profondità marine all’interno di tubi chitinosi.
[1] Pogonofori = animali
vermiformi cubicoli molto lunghi e sottili, privi di apparato digerente, che
vivono nelle grandi profondità marine all’interno di tubi chitinosi.