La parola fossile è oggi usata con un significato ben preciso: essa indica qualsiasi antico resto di organismi animali o vegetali che si ritrova conservato nelle rocce.
Organismi a volte pietrificati, a volte trasformati in minerali rari, a volte compressi sulla roccia e appena visibili, ma comunque sempre antichi .
Il termine “fossile” nel suo significato moderno è stato introdotto solo di recente. I latini infatti usavano questa parola, derivata dal verbo fodere che significava scavare, per indicare indistintamente tutto quanto veniva estratto dalla terra, e fino al XVIII secolo con questo termine venivano indicati sia i minerali, chiamati fossilia nativa, sia i veri e propri fossili chiamati fossilia petrificata.
Anche il concetto stesso di fossile non è molto antico. Solo da 200 anni infatti, o poco più, è stata accertata, e soprattutto universalmente riconosciuta, la vera natura del fossile, che può essere così definito: il resto di un qualsiasi resto animale o vegetale vissuto nelle epoche anteriori all’attuale o una qualsiasi traccia che un organismo ha lasciato negli strati rocciosi, ma anche le tracce della loro attività, come le impronte, le orme, le piste di spostamento e così via.
La scienza che studia i fossili è la paleontologia, nome che significa letteralmente “discorso sugli antichi organismi” e che fu coniato nella prima metà del XIX secolo, quasi contemporaneamente da H. M. Ducrotay de Blainville e G. I. Fisher von Waldheim.
Organismi a volte pietrificati, a volte trasformati in minerali rari, a volte compressi sulla roccia e appena visibili, ma comunque sempre antichi .
Il termine “fossile” nel suo significato moderno è stato introdotto solo di recente. I latini infatti usavano questa parola, derivata dal verbo fodere che significava scavare, per indicare indistintamente tutto quanto veniva estratto dalla terra, e fino al XVIII secolo con questo termine venivano indicati sia i minerali, chiamati fossilia nativa, sia i veri e propri fossili chiamati fossilia petrificata.
Anche il concetto stesso di fossile non è molto antico. Solo da 200 anni infatti, o poco più, è stata accertata, e soprattutto universalmente riconosciuta, la vera natura del fossile, che può essere così definito: il resto di un qualsiasi resto animale o vegetale vissuto nelle epoche anteriori all’attuale o una qualsiasi traccia che un organismo ha lasciato negli strati rocciosi, ma anche le tracce della loro attività, come le impronte, le orme, le piste di spostamento e così via.
La scienza che studia i fossili è la paleontologia, nome che significa letteralmente “discorso sugli antichi organismi” e che fu coniato nella prima metà del XIX secolo, quasi contemporaneamente da H. M. Ducrotay de Blainville e G. I. Fisher von Waldheim.
I processi di fossilizzazione
Il processo di fossilizzazione di un resto organico inizia subito dopo la morte.
Il primo atto della fossilizzazione è spesso rappresentato da un trasporto, che viene chiamato trasporto post mortem. È un fenomeno molto comune che porta gli organismi a fossilizzarsi in zone diverse da quelle che essi abitavano durante la vita, spesso molto lontane dai luoghi d’origine, caratterizzate da ambienti a volte diversissimi da quelli nei quali gli organismi vivevano.
Molti sono i fattori che agiscono sugli organismi dopo la morte; in mare l’azione delle correnti può trascinare a centinaia di chilometri dal luogo di origine il guscio di conchiglie particolarmente leggere, mentre organismi più pesanti possono venir trascinati per tratti molto brevi. Il trasporto post mortem dunque molto vario.
Nell’analisi di un’associazione di fossili è sempre molto importante poter distinguere se un fossile è autoctono o alloctono. Se prendiamo in considerazione gli organismi sessili, cioè quelli che vivono attaccati al substrato marino, come i coralli, è chiaro che essi si trovano nella maggior parte dei casi deposti in quello che doveva essere il loro ambiente originario.
Più difficile è invece che l’azione di trasporto non si sia fatta sentire sugli organismi che vivono liberi nel mare, sugli organismi nectonici, quali le ammoniti, che galleggiavano a mezz’acqua e che, come minimo, alla loro morte devono aver subito un trasporto verticale, cadendo lentamente sul fondo, e cambiando con ciò il loro ambiente originario. È questo anche il caso degli uccelli e dei rettili volanti dell’era Mesozoica, che hanno potuto conservare i loro scheletri in ambiente marino proprio per essere caduti mentre sorvolavano ampie distese di acqua.
Dopo la morte e dopo l’eventuale trasporto inizia una serie di processi di disgregazione che agiscono con velocità variabile sulle diverse parti del corpo del resto organico. Le cause distruttrici che portano a questa disgregazione possono essere dovute a tre tipi di agenti, e cioè ad agenti biologici, meccanici e chimici.
Fra gli agenti distruttori biologici che più frequentemente agiscono sulle parti molli di un organismo, quelle che più velocemente vanno perdute, vi sono i batteri. Ma oltre ai batteri, altri organismi, come le spugne perforanti e predatori di ogni tipo, concorrono alla distruzione dei resti organici. Ne deriva che più velocemente il resto organico viene tolto dal raggio d’azione di questi agenti distruttori, più possibilità esso avrà di conservarsi allo stato fossile.
La stessa cosa si può dire per la distruzione meccanica operata dalle correnti, dal moto ondoso, dal vento, agenti che operano una forte abrasione dell’organismo ad essi sottoposto, giungendo a volte a distruggerlo completamente. L’azione congiunta degli agenti distruttori biologici e meccanici è tale che il più delle volte i fossili si trovano incompleti, fratturati e, soprattutto sparpagliati su un area più o meno vasta.
La distruzione chimica ha un ruolo molto importante ai fini della conservazione dei resti organici. Questo processo di distruzione può agire infatti anche quando l’organismo è già trasformato in fossile. La dissoluzione chimica è più violenta su quelle parti degli organismi considerate “parti molli” e cioè costituite da carboidrati e da proteine , mentre risulta più debole sulle parti dure, costituite generalmente da carbonato di calcio, da fosfato di calcio, da silice, o da sostanze organiche quali la chitina e la cheratina, del guscio siliceo dei radiolari , del legno, delle ossa, dei denti dei vertebrati, del carapace chitinoso degli artropodi e così via.
La resistenza di queste parti dure varia nello stesso gruppo sistematico e può dipendere dal grado di calcificazione al quale il guscio era giunto al momento della morte dell’organismo. Inoltre di uno stesso organismo si rinvengono allo stato fossile alcune parti mentre altre sono andate perdute.
Infine nella conservazione molto dipende naturalmente dal tipo di sedimento in cui l’organismo è stato inglobato: si è notato, per esempio, che una stessa specie di mollusco rinvenuta in un’argilla o in un’arenaria si presenta conservata in modo ben diverso. In generale si può dire che i sedimenti più grossolani, quali le sabbie, i conglomerati e le ghiaie, permettendo un notevole passaggio delle acque di infiltrazione, non consentono una buona conservazione, cosicché i fossili risultano di solito molto rari in queste rocce. Al contrario le argille, le marne e in generale i sedimenti poco permeabili hanno una capacità protettiva ben maggiore e sono perciò assai ricchi di fossili.
In conclusione si può dire che i migliori giacimenti fossili si trovano in sedimenti a grana sottile depositatisi in ambienti acquatici ove gli agenti principali della distruzione meccanica, chimica e biologica non erano presenti se non in maniera trascurabile.
È evidente da quanto accennato che l’ambiente di sedimentazione ha una grande importanza nella conservazione degli organismi: così infatti l’ambiente marino, ove la sedimentazione è più abbondante, più continua, ed è costituita da elementi in generale molto fini, è nettamente vantaggiosa, se così si può dire rispetto ad un ambiente continentale, ove sia la scarsità di sedimentazione, sia l’azione più violenta dei mezzi distruttori, quali il vento, tendono a conservare solo parte degli organismi. Esistono è vero alcune eccezioni: nell’ambiente marino sono poco adatte alla fossilizzazione le zone rocciose poste in vicinanza della costa, ove evidentemente l’azione del moto ondoso si fa sentire in modo determinante e ove la sedimentazione è piuttosto grossolana. Negli ambienti continentali si hanno invece buone condizioni di fossilizzazione nei laghi, nelle paludi e nei depositi di Loess, ove la sedimentazione ha caratteri di particolare tranquillità e abbondanza.
L’ambiente continentale ha inoltre un altro effetto sulla conservazione degli organismi: in particolari condizioni si formano accumuli di fossili che, se da un lato rendono la ricerca più agevole, dall’altro creano agli studiosi seri imbarazzi nella ricostruzione degli antichi ambienti, poiché in questi ammassi possono venir raccolti organismi provenienti dagli ambienti più diversi.
Le soluzioni circolanti nei sedimenti, ricche di sali minerali, agiscono sugli organismi inglobati nella matrice rocciosa in due modi: operando cioè un azione di dissoluzione dei resti organici, e impregnando l’organismo di sostanze minerali, rendendolo quindi più stabile e permettendone, in definitiva, la conservazione. Questo secondo processo è chiamato processo di mineralizzazione.
Nel caso più semplice , l’impregnazione, la sostituzione della materia organica da parte delle sostanze inorganiche è totale; in tal modo i vuoti che nei resti organici erano occupati da materiale organico vengono riempiti da sostanze minerali, e il tutto diviene assai più resistente.
Più interessante è la sostituzione molecolare, o metasomatosi, un processo che consiste in una sostituzione molecola per molecola della sostanza organica. In questo caso viene modificata la composizione chimica dell’organismo, mentre resta immutato il suo aspetto, che viene conservato fino nei minimi particolari.
Numerosi sono i casi in cui tale processo ha avuto luogo; basti citare i legni fossili che conservano gli anelli concentrici di crescita, i gusci dei foraminiferi con le concamerazioni del piccolo guscio ancora intatte, il guscio dei molluschi che in molti casi conserva ancora i diversi strati di cui è costituito.
Le sostanze minerali che più frequentemente agiscono nei processi di mineralizzazione sono senza dubbio il carbonato di calcio e la silice, cui fanno seguito il fosfato di calcio, la pirite in ambienti particolari con alta percentuale di sostanze organiche, il fosfato di piombo o di zinco, numerosi solfati. I fossili calcarei o silicei sono molto frequenti: intere foreste si sono conservate grazie alla
trasformazione degli alberi in blocchi di opale o di calcedonio, alberi che a volte conservano ancora la posizione originaria con le radici infisse nel terreno. Vale infine la pena di citare la possibilità di fossilizzazione, peraltro molto rara, in elementi allo stato puro, quali ad esempio, l’argento, che dà origine a dei veri e propri girelli naturali.
Il processo di carbonificazione è un processo di fossilizzazione riguardante soprattutto i vegetali, che ha portato alla formazione dei grandi giacimenti di carbone fossile del periodo Carbonifero, risalenti ad almeno 340 milioni di anni fa. Durante questo periodo geologico grandi aree della Terra, oggi corrispondenti a Cina, India, Australia, Africa, Nord America e parte dell’Europa, erano coperte da vasti acquitrini, circondati da lussureggianti foreste la cui crescita era favorita da
un clima caldo-umido di tipo tropicale. I resti di queste antiche foreste costituiscono la base degli accumuli di carbone fossile.
Più difficile è invece che l’azione di trasporto non si sia fatta sentire sugli organismi che vivono liberi nel mare, sugli organismi nectonici, quali le ammoniti, che galleggiavano a mezz’acqua e che, come minimo, alla loro morte devono aver subito un trasporto verticale, cadendo lentamente sul fondo, e cambiando con ciò il loro ambiente originario. È questo anche il caso degli uccelli e dei rettili volanti dell’era Mesozoica, che hanno potuto conservare i loro scheletri in ambiente marino proprio per essere caduti mentre sorvolavano ampie distese di acqua.
Dopo la morte e dopo l’eventuale trasporto inizia una serie di processi di disgregazione che agiscono con velocità variabile sulle diverse parti del corpo del resto organico. Le cause distruttrici che portano a questa disgregazione possono essere dovute a tre tipi di agenti, e cioè ad agenti biologici, meccanici e chimici.
Fra gli agenti distruttori biologici che più frequentemente agiscono sulle parti molli di un organismo, quelle che più velocemente vanno perdute, vi sono i batteri. Ma oltre ai batteri, altri organismi, come le spugne perforanti e predatori di ogni tipo, concorrono alla distruzione dei resti organici. Ne deriva che più velocemente il resto organico viene tolto dal raggio d’azione di questi agenti distruttori, più possibilità esso avrà di conservarsi allo stato fossile.
La stessa cosa si può dire per la distruzione meccanica operata dalle correnti, dal moto ondoso, dal vento, agenti che operano una forte abrasione dell’organismo ad essi sottoposto, giungendo a volte a distruggerlo completamente. L’azione congiunta degli agenti distruttori biologici e meccanici è tale che il più delle volte i fossili si trovano incompleti, fratturati e, soprattutto sparpagliati su un area più o meno vasta.
La distruzione chimica ha un ruolo molto importante ai fini della conservazione dei resti organici. Questo processo di distruzione può agire infatti anche quando l’organismo è già trasformato in fossile. La dissoluzione chimica è più violenta su quelle parti degli organismi considerate “parti molli” e cioè costituite da carboidrati e da proteine , mentre risulta più debole sulle parti dure, costituite generalmente da carbonato di calcio, da fosfato di calcio, da silice, o da sostanze organiche quali la chitina e la cheratina, del guscio siliceo dei radiolari , del legno, delle ossa, dei denti dei vertebrati, del carapace chitinoso degli artropodi e così via.
La resistenza di queste parti dure varia nello stesso gruppo sistematico e può dipendere dal grado di calcificazione al quale il guscio era giunto al momento della morte dell’organismo. Inoltre di uno stesso organismo si rinvengono allo stato fossile alcune parti mentre altre sono andate perdute.
Infine nella conservazione molto dipende naturalmente dal tipo di sedimento in cui l’organismo è stato inglobato: si è notato, per esempio, che una stessa specie di mollusco rinvenuta in un’argilla o in un’arenaria si presenta conservata in modo ben diverso. In generale si può dire che i sedimenti più grossolani, quali le sabbie, i conglomerati e le ghiaie, permettendo un notevole passaggio delle acque di infiltrazione, non consentono una buona conservazione, cosicché i fossili risultano di solito molto rari in queste rocce. Al contrario le argille, le marne e in generale i sedimenti poco permeabili hanno una capacità protettiva ben maggiore e sono perciò assai ricchi di fossili.
In conclusione si può dire che i migliori giacimenti fossili si trovano in sedimenti a grana sottile depositatisi in ambienti acquatici ove gli agenti principali della distruzione meccanica, chimica e biologica non erano presenti se non in maniera trascurabile.
È evidente da quanto accennato che l’ambiente di sedimentazione ha una grande importanza nella conservazione degli organismi: così infatti l’ambiente marino, ove la sedimentazione è più abbondante, più continua, ed è costituita da elementi in generale molto fini, è nettamente vantaggiosa, se così si può dire rispetto ad un ambiente continentale, ove sia la scarsità di sedimentazione, sia l’azione più violenta dei mezzi distruttori, quali il vento, tendono a conservare solo parte degli organismi. Esistono è vero alcune eccezioni: nell’ambiente marino sono poco adatte alla fossilizzazione le zone rocciose poste in vicinanza della costa, ove evidentemente l’azione del moto ondoso si fa sentire in modo determinante e ove la sedimentazione è piuttosto grossolana. Negli ambienti continentali si hanno invece buone condizioni di fossilizzazione nei laghi, nelle paludi e nei depositi di Loess, ove la sedimentazione ha caratteri di particolare tranquillità e abbondanza.
L’ambiente continentale ha inoltre un altro effetto sulla conservazione degli organismi: in particolari condizioni si formano accumuli di fossili che, se da un lato rendono la ricerca più agevole, dall’altro creano agli studiosi seri imbarazzi nella ricostruzione degli antichi ambienti, poiché in questi ammassi possono venir raccolti organismi provenienti dagli ambienti più diversi.
Le soluzioni circolanti nei sedimenti, ricche di sali minerali, agiscono sugli organismi inglobati nella matrice rocciosa in due modi: operando cioè un azione di dissoluzione dei resti organici, e impregnando l’organismo di sostanze minerali, rendendolo quindi più stabile e permettendone, in definitiva, la conservazione. Questo secondo processo è chiamato processo di mineralizzazione.
Nel caso più semplice , l’impregnazione, la sostituzione della materia organica da parte delle sostanze inorganiche è totale; in tal modo i vuoti che nei resti organici erano occupati da materiale organico vengono riempiti da sostanze minerali, e il tutto diviene assai più resistente.
Più interessante è la sostituzione molecolare, o metasomatosi, un processo che consiste in una sostituzione molecola per molecola della sostanza organica. In questo caso viene modificata la composizione chimica dell’organismo, mentre resta immutato il suo aspetto, che viene conservato fino nei minimi particolari.
Numerosi sono i casi in cui tale processo ha avuto luogo; basti citare i legni fossili che conservano gli anelli concentrici di crescita, i gusci dei foraminiferi con le concamerazioni del piccolo guscio ancora intatte, il guscio dei molluschi che in molti casi conserva ancora i diversi strati di cui è costituito.
Le sostanze minerali che più frequentemente agiscono nei processi di mineralizzazione sono senza dubbio il carbonato di calcio e la silice, cui fanno seguito il fosfato di calcio, la pirite in ambienti particolari con alta percentuale di sostanze organiche, il fosfato di piombo o di zinco, numerosi solfati. I fossili calcarei o silicei sono molto frequenti: intere foreste si sono conservate grazie alla
trasformazione degli alberi in blocchi di opale o di calcedonio, alberi che a volte conservano ancora la posizione originaria con le radici infisse nel terreno. Vale infine la pena di citare la possibilità di fossilizzazione, peraltro molto rara, in elementi allo stato puro, quali ad esempio, l’argento, che dà origine a dei veri e propri girelli naturali.
Il processo di carbonificazione è un processo di fossilizzazione riguardante soprattutto i vegetali, che ha portato alla formazione dei grandi giacimenti di carbone fossile del periodo Carbonifero, risalenti ad almeno 340 milioni di anni fa. Durante questo periodo geologico grandi aree della Terra, oggi corrispondenti a Cina, India, Australia, Africa, Nord America e parte dell’Europa, erano coperte da vasti acquitrini, circondati da lussureggianti foreste la cui crescita era favorita da
un clima caldo-umido di tipo tropicale. I resti di queste antiche foreste costituiscono la base degli accumuli di carbone fossile.
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