Archaeocyatha (Cambriano
inf. – Cambriano medio)
Tali organismi sono stati
attribuiti infatti di volta in volta ai celenterati, per la presenza di
setti verticali radiali, alle spugne, a causa delle pareti porose e
della presenza di una cavità centrale, ai protozoi e alle alghe calcaree. Si
tratta degli archeociatidi (Archaeocyatha), i più antichi fossili
italiani, che vengono oggi considerati un phylum a sé stante, separato dai
celenterati e dai poriferi, estintosi alla fine del periodo Cambriano senza
lasciare discendenti.
Gli archeociatidi erano animali
marini provvisti di un guscio o teca di forma conica, di altezza variabile da
2,5 a 10 cm, che si fissavano al substrato attraverso la base appuntita.
Formati da due pareti porose concentriche, riunite da setti verticali radiali e
da tabule orizzontali che dividono la regione fra le pareti stesse in camerette
quasi cubiche. Al centro è presente un’ampia cavità, simile a quella osservata
nelle spugne.
Si pensa che gli archeociatidi
vivessero fissi al fondo marino, probabilmente in acqua poco profonda ed
avevano funzione litogenetica in quanto con l’accumulo delle loro teche
calcaree hanno formato quelle rocce che sono chiamate appunto “Calcari ad
Archeociatine”. Questi animali ebbero dunque nel Cambriano grande importanza
quali costruttori di scogliere, prerogativa assunta, alla loro estinzione, dai
celenterati.
Phylum
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Classe
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Età
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Archaeocyatha
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Regulares
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Cambriano inferiore e
medio
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Irregulares
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Cambriano inferiore
- superiore
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