Seppellimento
Il
fattore sedimentazione, ed in particolare la granulometria dei sedimenti e la velocità di sedimentazione, influenza in modo determinante
il processo di fossilizzazione. In generale tutti i resti degli
organismi (organici e organogeni) presentano un miglior grado di conservazione
nei sedimenti fini piuttosto che in quelli grossolani.
Un
rapido seppellimento costituisce una premessa indispensabile per la
fossilizzazione; ne deriva che un tasso di sedimentazione elevato costituisce
una condizione favorevole per il processo di fossilizzazione della diversità
tassonomica delle biocenosi è rappresentata da ambienti caratterizzati da apporti sedimentari repentini e
catastrofici in grado di soffocare e seppellire in vita definitivamente la
maggior parte degli organismi.
Seppellimento
in detriti minerali.
È il
caso più frequente e diffuso dato che in natura la quasi totalità dei sedimenti
da detriti minerali siano essi prodotti dall’erosione delle aree emerse
(ghiaie, sabbie e peliti), dalla triturazione meccanica o dalla macerazione di
gusci di organismi pelagici o, eccezionalmente, da precipitati chimici
provocati da organismi o più raramente di origine inorganica.
I
resti organici hanno una diversa potenzialità di conservazione nei diversi tipi
di sedimenti soprattutto in funzione della diversa granulometria.
Nei
materiali grossolani angolosi i resti
di un organismo sepolti in questi detriti, che hanno sempre una elevata
permeabilità, hanno scarsa probabilità di essere preservati. Un caso particolare
è rappresentato dalle brecce ossifere nelle grotte ove le
concrezioni calcaree o gessose possono cementare rapidamente i detriti e
proteggere le ossa.
Gli
ambienti ad
alta energia dove si sedimentano le ghiaie non sono
favorevoli alla conservazione dei resti scheletrici. L’arrotondamento degli
elementi è conseguenza degli urti reciproci provocati dall’acqua in movimento e
questi stessi urti distruggono rapidamente anche le ossa o i gusci più robusti.
In conclusione si tratta di ambienti poco favorevoli allo sviluppo della vita
ed alla conservazione dei reperti fossili.
In
ambiente subareo
i resti degli organismi, anche dopo che sono stati sepolti, hanno molte
probabilità di venire intensamente ossidati o disciolti da acque acide e ben
ossigenate che permeano questi sedimenti,. Maggiori probabilità di
conservazione hanno invece i resti sepolti in ambiente marino.
Le
peliti (silt, argilla, e fanghi
calcarei) sono i sedimenti più diffusi in
natura e si prestano molto bene alla conservazione dei resti degli organismi.
Infatti, negli ambienti pelitici i processi di logorio meccanico, selezionatura
e disarticolazione sono insignificanti in relazione al basso livello
idrodinamico. Inoltre, dopo il seppellimento, durante la diagenesi, la scarsa
permeabilità impedisce la circolazione dei fluidi o la limita enormemente
riducendo la possibilità di dissoluzione dei resti organogeni.
Spesso,
negli ambienti pelitici è molto importante la componente organica che deriva
dall’accumulo di detriti vegetali e animali. In assenza di ossigeno, il
materiale organico è soggetto solo a fermentazioni anaerobiche che
arricchiscono la materia organica in carbone e danno origine a idrocarburi.
Questi ambienti, quando la velocità di sedimentazione è sufficientemente
elevata, sono particolarmente favorevoli non solo per la conservazione delle
parti scheletriche ma anche per la fossilizzazione della, materia organica.
Occorre
sottolineare che ai fini della fossilizzazione non è tanto importante un
costante ed elevato tasso di sedimentazione ma il verificarsi di eventi
deposizionali significativi, anche se sporadici, che di per se stesi possono
portare al seppellimento ed alla “protezione” definitiva dei resti. Per es., il
fatto che in un certo bacino si depositi una torbiditi spessa 1 metro ogni
10000 anni equivale di 1 mm al decennio. Un millimetro di sedimento non
proteggerebbe di certo un guscio adagiato sul fondo dalle possibili azioni che
tendono a distruggere nel corso di dieci anni; un metro di sedimento deposto in
pochissime ore costituisce invece una protezione definitiva dai processi
biostratinomici, compresa l’azione di limivori e fissatori che agiscono nei
primi decimetri di sedimento.
Effetto
analogo ad una torbidite può avere, in ambiente sottomarino, una colata
di fango piroclastico o una tempestite e, in ambiente subaereo, una
coltre cineritica o una colata di fango collegate ad una eruzione vulcanica.
Nelle
piroclastici subaeree possono conservarsi, a seconda delle condizioni
diagenetiche, le sole oppure le impronte dell’intero corpo di animali e
persone, come è avvenuto per le vittime della famosa eruzione del Vesuvio.
Strutture Biogeopete
Se
le cavità interne di una conchiglia sepolta nel fango presentano aperture di
limitata ampiezza, è improbabile che vengano completamente riempite dal
sedimento grazie alla modesta energia meccanica che caratterizza l’ambiente. In
queste condizioni il sedimento si dispone nelle parti basse delle cavità
lasciando libere le parti alte che vengono riempite dai fluidi che circolano
nel sedimento. Col procedere della diagenesi, da questi fluidi possono
precipitare quarzo, calcite o altri minerali che vengono a tappezzare le pareti
di queste cavità trasformandole in geodi o riempiendole del tutto con una o più
generazioni di cristalli.
Nei
nautiloidi del Siluriano della Sardegna, per es., dopo il riempimento parziale
delle camere ad opera del sedimento, l’obliterazione completa delle cavità
residue si realizza ad opera di un’unica generazione di calcite. L’insieme dei
riempimenti (sedimento + cristalli) assume quindi una ben precisa
polarità e viene a costituire una struttura che si può definire biogeopeta.
I riempimenti biogeopeti possono essere utilizzati come vere e proprie livelle
naturali per stabilire la reale posizione di vita o l’originale posizione
di seppellimento di un organismo estinto o per ricostruire l’originale
inclinazione di paleopendii o per determinare se un pacco di strati sia diritto
o rovesciato.
Talvolta
nello steso strato vi possono essere fossili le cui strutture geodete sono
orientate casualmente. La spiegazione più semplice è che essi siano stati
rielaborati dopo la formazione della struttura biogeopeta. Le strutture
biogeopeta possono quindi rivelare fenomeni di rielaborazione dei fossili.
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