Pur trattandosi di una tecnologia superata da nuove metodiche
quali CRISP-Cas9 (acronimo di «CRISPR associated») o
dalla tecnologia molto promettente che
si è affacciata sulla scena qualche anno più tardi, chiamata «Tale» che è l'acronimo per (Transcription activator-like
effectors,
o effettori che agiscono come attivatori della trascrizione. È interessante
studiare l'evoluzione e la storia della clonazione di geni eterologhi nei
microrganismi con la metodica del DNA Ricombinante.
DNA Ricombinante
- La tecnologia del DNA-Ricombinante ha avuto nei primi anni del XXI secolo una rapida evoluzione, ma la sua data di nascita può essere fatta risalire molto prima, e cioè, alla fine del decennio Sessanta e all’inizio di quello successivo del XX secolo. Già, perché nel 1973 si registra la tappa iniziale di questa tecnologia, quando i biologi Stanley Cohen dell’Università di Stanford e Herbert Boyer dell’Università della California realizzarono un’impresa che, nel mondo della materia vivente, secondo alcuni esperti di biotecnologia è paragonabile per importanza alla scoperta del fuoco. I due ricercatori spiegarono di aver preso due organismi non correlati fra loro, cioè che non si accoppiano in natura, di aver isolato un frammento di DNA da ciascuno e, quindi, di aver ricombinato i due frammenti di materiale genetico. Questi risultati furono, comunque, resi possibili grazie a delle importanti scoperte fatte negli anni immediatamente precedenti.
Verso la fine degli anni sessanta,
dopo i primi grandi successi, la ricerca sul DNA iniziò a rallentare perché si
aveva bisogno di importanti strumenti biologici che ancora mancavano per:
- riuscire a tagliare i lunghi frammenti di DNA in un certo numero di frammenti riproducibili;
- e per riuscire a determinare la sequenza di basi del DNA.
Il primo strumento della Tecnologia del DNA-Ricombinante fu scoperto per caso
all’interno dei batteri. Infatti nei primi anni 70 si scoprì che alcuni batteri
hanno la capacità di demolire specificatamente il DNA iniettato dai
batteriofagi all’interno della loro cellula. Tali batteri hanno, infatti, degli
enzimi capaci di sequenziare il DNA
estraneo in punti diversi. Questi enzimi sono detti Enzimi di Restrizione
o Endonucleasi di
Restrizione. Oggi si conoscono
centinaia di Endonucleasi di Restrizione.
Il secondo strumento della tecnologia del DNA-Ricombinante
sono i plasmidi. Anche questi sono stati scoperti nello
stesso periodo e si tratta anch’esse di strutture tipiche dei batteri.
Gli Enzimi
di Restrizione
Gli enzimi di
restrizione sono una famiglia di proteine, appartenenti alla categoria delle Endonucleasi, prodotte dai batteri a scopo difensivo. Il loro ruolo
naturale è quello di intercettare e distruggere il DNA dei virus che infettano i batteri ( detti batteriofagi).
Infatti, questi enzimi sono capaci di tagliare il DNA come farebbe una forbice
con un nastro. Le incisioni avvengono in corrispondenza di particolari
sequenze, caratteristiche per ogni enzima, presenti in più punti del genoma e
distribuite in modo casuale.
Le Endonucleasi di Restrizione sono dunque enzimi capaci di tagliare il DNA a doppia
elica a livello di specifiche sequenze di riconoscimento, dette Siti
di Restrizione, o Sequenze di
riconoscimento degli
enzimi di restrizione. Dunque, ogni enzima riconosce uno specifico sito
di restrizione, che in genere è un palindromo. In linguistica un palindromo è
una parola che rimane identica, sia letta da sinistra verso destra sia
viceversa, come ad es. le parole “oro” e “Anna”. Nel caso della molecola di DNA
un palindromo è una sequenza nucleotidica a simmetria binaria che presenta la
stessa sequenza di basi, se letta in direzione 5’-3’ sia su un elica che
sull’altra.
Enzimi di questo tipo non sono stati riscontrati negli
eucarioti.
La cellula batterica si protegge contro l’azione delle
proprie endonucleasi di restrizione modificando il proprio DNA durante il
processo di replicazione. Infatti, ogni ceppo batterico, per ogni attività di
restrizione, possiede una DNA-metilasi che
riconosce la medesima sequenza riconosciuta dall’enzima di restrizione, la
quale viene modificata aggiungendo gruppi metilici
a residui di adenina o citosina. Di regola la metilazione blocca il legame dell’enzima di
restrizione, rendendo il DNA batterico resistente alla scissione.
Dunque, l’effetto delle metilasi di restrizione è quello di fornire un
meccanismo di degradazione delle molecole di DNA esogeno e allo stesso tempo di
proteggere il DNA batterico endogeno.
Questo sistema detto nel suo insieme Sistema di
Restrizione-Modificazione è stato scoperto
grazie ai suoi effetti sui batteriofagi. Il DNA fagico può passare da un
batterio all’altro dello stesso ceppo perché ha lo stesso pattern o modello di
metilazione del DNA dell’ospite. Quando, però, il DNA fagico entra in un nuovo
ceppo batterico, viene attaccato dall’endonucleasi dell’ospite, per cui il fago
tende ad essere ristretto ad un solo ceppo batterico. Tuttavia, una piccola
parte del DNA fagico può sfuggire all’attacco e, se questo DNA sopravvive a un
ciclo di replicazione dell’ospite anche il suo DNA sarà metilato poiché si è
replicato in presenza della sua metilasi. D’ora in poi questi fagi possono
continuare a replicarsi efficacemente nel nuovo ospite.
Gli enzimi di restrizione
prendono il nome dall’organismo dal quale vengono isolati. Per
convenzione si usa un sistema a tre lettere in corsivo. Se un ospite
particolare ha diversi sistemi di restrizione-modificazione, questi vengono
identificati con i numeri romani (es.: HaeI, HaeII, HaeIII). Le lettere
addizionali indicano un particolare ceppo batterico da cui è stato ottenuto
l’enzima. Per esempio, BgIII viene da Bacillus globigi; EcoRI è dal ceppo di Escherichia coli RY13
e HindIII dal ceppo Rd di Hæmophilus influenzæ.
La pronuncia di questi vocaboli è particolare e non segue una regola precisa.
Per esempio, BamHI suona “bam-acca-uno”,
BgIII è ”bi-gi-elledue”, EcoRI è “eco-erre-uno”, HindIII è “ind-tre”, HhaI è “a-a-uno” e HpaII
è “epa-due”. Gli enzimi di restrizione appartengono a due classi:
1 Enzimi di restrizione di Tipo I: riconoscono una specifica sequenza di
coppie di nucleotidi nel DNA e tagliano il DNA in posizioni non specifiche a una certa distanza da quella
sequenza. Poiché il sito di taglio non è una specifica coppia di basi, gli
enzimi di restrizione di Tipo I non sono molto utili per la costruzione o l’analisi di
molecole di DNA ricombinante.
2 Enzimi di restrizione di Tipo II: anche questi enzimi
riconoscono specifiche sequenze di coppie di nucleotidi, all’interno delle
quali tagliano il DNA. La sequenza di riconoscimento per gli enzimi di tipo II
è lunga 4-6, raramente 8 nucleotidi. Poiché tutti i frammenti di DNA generati dal
taglio con un particolare enzima di restrizione di tipo II sono stati tagliati
a livello della stessa sequenza, questi enzimi sono molto utili per
costruire molecole di DNA ricombinante. Questi enzimi sono stati isolati da numerosi
ceppi batterici. Poiché ciascun enzima taglia il DNA a livello di una specifica
sequenza di coppie di nucleotidi, il numero di tagli praticati da un certo
enzima in una particolare molecola di DNA dipende dal numero di volte che la
sequenza di riconoscimento-taglio è presente in quel DNA. In alcuni casi,
enzimi di restrizione isolati da batteri differenti riconoscono e tagliano la
stessa sequenza nucleotidica e vengono detti isoschizomeri.
Esistono endonucleasi in grado di tagliare entrambi i
filamenti della doppia elica allo stesso livello, con formazione di due monconi
netti, blunt ends, e altre invece capaci
di interrompere i filamenti a differenti livelli secondo un taglio obliquo. In
quest’ultimo caso si ottengono due estremi a singola elica complementari, sticky ends, che sono pertanto particolarmente
reattivi e capaci di legarsi a tratti di DNA corrispondenti, generati dalla
digestione con lo stesso enzima. Da notare che sticky in inglese significa
appiccicaticcio.
L'asse di
simmetria nelle sequenze di DNA
EcoRI |
- La maggior parte degli enzimi di restrizione si lega a sequenze specifiche di DNA (siti di restrizione) che sono simmetrici attorno al loro punto mediano. La figura mostra il sito di restrizione per l'enzima EcoRI sul DNA. L'asse di simmetria non implica che quello sia il punto in cui l'enzima taglia l'asse, come vedremo dopo.
Siti di taglio di restrizione
A seconda dell'enzima, il taglio può avvenire in uno dei tre modi come illustrato di seguito.
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||
Dunque, gli Enzimi di restrizione del tipo I non danno possibilità di innesto tra due segmenti di DNA,
poiché la loro cesura è netta, mentre i secondi avendo estremità coesive,
rendono possibili l’innesto tra due segmenti di DNA. Come detto prima, ogni
enzima taglia solo in corrispondenza di una specifica sequenza nucleotidica di
riconoscimento. Questo ha come conseguenza che un gene ed un Plasmide tagliati
entrambi con lo stesso enzima di restrizione si riconoscono e si uniscono
perché hanno le estremità coesive complementari. Per completare il processo
d’innesto è necessario un tipo di enzima, detto DNA-Ligasi che unisce le estremità tagliate di ciascun
filamento. L’isolamento della DNA-ligasi, capace di saldare tra loro frammenti
di DNA , insieme alla scoperta degli Enzimi di Restrizione, ha reso possibile
la Tecnologia del DNA-Ricombinante. Il processo di saldatura di frammenti di
DNA che possono derivare da organismi anche molto distanti da un punto di vista
evolutivo, prende il nome di Ligazione, e
consente di formare molecole di DNA ricombinante. Quando si vogliono legare tra
loro molecole di DNA umano e quelle del vettore vengono tagliate con un Enzima
di Restrizione; successivamente, la DNA ligasi
catalizza la formazione del legame fosfodiesterico tra le due molecole da
saldare. Condizione indispensabile per la ligazione
di molecole di DNA è costituita dal fatto che le loro estremità siano
“compatibili”, cioè le estremità dei 2 frammenti devono essere coesive verso
l’estremo 5’ o verso il 3’ e queste sono compatibili quando sono complementari
e cioè digerite con lo stesso enzima di restrizione. Nel caso di ligazione tra
molecole che presentano estremità coesive, avviene prima un processo spontaneo
di Associazione Molecolare, che consiste nella formazione di legami di idrogeno
tra le basi complementari presenti nelle estremità a singolo filamento;
successivamente, la continuità della molecola di DNA è assicurata dall’attività
dell’enzima DNA-ligasi. Invece, la ligazione
tra molecole con estremità piatte è meno efficiente rispetto a quella tra
molecole con estremità coesive.
Figura 1 Attività enzimi di restrizione e DNA-ligasi |
Il plasmide ricombinante ottenuto viene reinserito in una cellula batterica che,
moltiplicandosi, darà origine ad un clone, una popolazione di batteri
contenenti tutti il DNA ricombinante. Un clone può essere fatto crescere a
piacimento e quindi si avranno a disposizione quantità a piacimento di
DNA-Ricombinante.
|
Questa tecnica, detta Clonazione Molecolare, è utilizzata correntemente nei laboratori di biologia molecolare.
VETTORI DI TRASFERIMENTO:
per trasferire il DNA da una
cellula ad un'altra, uguale o diversa, si possono sfruttare navette dette "vettori". I vettori più
usati sono i plasmidi (solo per batteri e
lieviti) e i virus (per batteri, lieviti, cellule vegetali e animali).
Plasmidi. Sono molecole di DNA circolare naturalmente
presenti nelle cellule di batteri e lieviti. I plasmidi sono in grado di
spostarsi tra microrganismi della stessa specie o di specie affini, soprattutto
se posti in condizioni ambientali particolarmente disagevoli (presenza di
antibiotici, mancanza di sostanze nutrienti ecc.). Per un microrganismo avere
un plasmide di solito è vantaggioso perché i geni in esso contenuti lo aiutano
a sopravvivere. In laboratorio, con l'aiuto degli enzimi di restrizione, si possono
inserire in un plasmide uno o più geni (di qualunque provenienza). Il plasmide
modificato può essere poi assorbito da un microrganismo che acquisterà nuove
caratteristiche.
Virus. I virus sono costituiti da un involucro di
proteine di ridottissime dimensioni al cui interno è racchiuso il DNA virale
contenente solo le informazioni essenziali. Per questo motivo, i virus non sono
veri e propri esseri viventi: non sono completamente indipendenti e non possono
riprodursi da soli. Infatti, per moltiplicarsi un virus deve infettare una
cellula, intrufolarsi nel suo genoma e usarne le proteine per copiare centinaia
di volte il proprio DNA. In seguito, ogni copia del DNA virale viene racchiusa
in un involucro di proteine virali (detto capside) a dare tanti virus-figli che
alla fine fanno lisare la cellula. Capita, a volte, che il DNA della cellula e
il DNA del virus si scambino alcuni geni in modo casuale. In laboratorio è
possibile pilotare questo fenomeno, noto come ricombinazione, per trasferire
geni particolarmente interessanti nelle cellule. Per far ciò, si sostituiscono
alcuni geni del virus con geni utili, di qualunque provenienza, e un gene
marcatore per verificare l'avvenuto trasferimento. Il virus modificato è ancora
in grado di infettare la cellula, ma, anziché sfruttarla e distruggerla, la
arricchisce delle nuove caratteristiche desiderate.
TRASFORMAZIONE:
Il passo successivo
nella tecnica del DNA-ricombinante richiede l’assunzione del DNA clonato da
parte di E. coli. Il processo con il quale si introduce DNA purificato in una
cellula batterica è detto Trasformazione. La Trasformazione consiste nel trasferire un
tratto di DNA, contenente uno o più geni nella cellula ricevente. E’ importante
sottolineare che i geni possono provenire da una fonte, ed è quindi possibile
ottenere ibridi che mai sarebbero comparsi in natura. Per quanto riguarda E.
coli uno dei metodi di trasformazione esige il trattamento preliminare delle
cellule con il Cloruro di calcio (CaCl2)
a temperatura elevata (42°). La
Trasformazione, tuttavia, è un procedimento inefficiente, giacché tipicamente
non si riesce a trasformare più di 1 cellule su 1000. in altre parole la
trasformazione lascia la situazione preesistente: la maggior parte delle
cellule non ha acquistato alcun plasmidio. Per di più un certo numero di
cellule è stato trasformato da DNA plasmdico
ciclizzato sfuggito alla defosforilazione
ad opera della fosfatasi alcalina, altre cellule hanno acquistato DNA non
plasmidico e alcune sono state trasformate dal costrutto plasmidio-inserto DNA.
Comunque, una cellula batterica non può mantenere DNA extracromosomiale privo
di un origine di replicazione e ciò fa sì che l’assunzione di DNA non
plasmidico ciclizzato non abbia conseguenze sull’esperimento di
DNAricombinante. Per essere certi che il
costrutto Plasmidio-DNA clonato venga perpetuato nella sua forma originaria,
occorre che le cellule ospiti di E. coli manchino di geni perla sintesi delle
Endonucleasi di Restrizione; solitamente, poi, non saranno capaci di effettuare
scambi tra molecole DNA, perché saranno state rese negative alla ricombinazione
(RecA-). In un batterio che non
produce Endonucleasi di restrizione è meno probabile che il costrutto
Plasmidio-inserto di DNA venga degradato. Dopo la trasformazione la cellula
manterrà tutte le caratteristiche, a cui si aggiungeranno quelle dovute ai
nuovi geni. In alcuni casi,il DNA trasferito è scelto appositamente per
disattivare un gene normalmente presente nel genoma della cellula ricevente. La
cellula ricevente presenterà allora tutte le caratteristiche originarie meno
una.
TRASFORMAZIONE
DI MICROORGANISMI. Inserire DNA estraneo in batteri e lieviti è
piuttosto semplice. Di solito, si usano plasmidi costruiti su misura,
contenenti il gene d'interesse associato ad un gene marcatore, essenziale alla
fine per individuare le cellule effettivamente trasformate. In opportune
condizioni, i plasmidi modificati vengono assorbiti dai microrganismi che
acquistano di conseguenza le caratteristiche desiderate.
TRASFORMAZIONE DI
CELLULE VEGETALI.
Infezione con Agrobacterium.
Anno
|
Descrizione dell’osservazione
|
1853
|
Primo report scritto sulla malattia della galla del colletto
|
1907
|
A. tumefaciens identificato come agente causale della galla
del colletto
|
1947
|
Tessuto
tumorale può proliferare in coltura in terreno privo di ormoni.
Si pensa che
le cellule tumorali siano trasformate da un “principio che induce tumore”
(TIP) derivante da Agrobacterium
|
1956
|
Composti
azotati inusuali sono identificati esclusivamente nel tessuto tumorale (opine)
|
1974
|
La
virulenza di ceppi di Agrobacterium dipende dalla presenza di un plasmide
di grandi dimensioni: plasmide Ti (Tumor inducing). TIP
è probabilmente una componente di questo plasmide
|
1977
|
Il
T-DNA è presente nel genoma delle cellule tumorali (T-DNA = TIP)
|
1983
|
Prima
pianta trasformata con un gene ricombinante utilizzando
Agrobacterium
tumefaciens
|
1984
|
La
presenza di oncogeni nel T-DNA determina il fenotipo tumorale
|
1985
|
Identificazione
del sistema a due componenti VirA/VirG per
la percezione e trasduzione del segnale indotto da Agrobacterium
|
1986
|
Ulteriori
progressi nella comprensione del meccanismo di trasferimento
presente
ed integrazione del T-DNA
|
Il metodo più noto e più comune per produrre in laboratorio
varietà vegetali con caratteristiche vantaggiose sfrutta l'Agrobacterium tumefaciens. In natura, l'Agrobacterium causa, nelle
piante, la malattia nota come "tumore del
colletto", una moltiplicazione incontrollata delle cellule
infettate entro cui il batterio si può riprodurre. Questo microrganismo
contiene un plasmide che ha la capacità di trasferire un tratto del proprio DNA
(T-DNA, cioè DNA che induce il tumore) in alcune piante. I biologi molecolari
sono in grado di creare una popolazione di Agrobacterium
che abbia nel T-DNA, al posto dei geni che causano il tumore, il gene che si
desidera trasferire nella pianta. Il batterio modificato viene poi utilizzato
per infettare alcuni frammenti di tessuto vegetale. Le cellule che ricevono il
plasmide T iniziano a dividersi producendo calli (masserelle di cellule
indifferenziate) visibili ad occhio nudo. Frammentando il callo e trattandolo
con una miscela calibrata di ormoni vegetali si rigenerano le pianticelle che
possiedono il gene nuovo (transgeniche). Purtroppo, questo sistema rapido,
semplice ed efficiente, funziona solo con piante dicotiledoni (es. pisello,
fava, soia, lenticchie, ecc.) e non con le monocotiledoni, famiglia che
comprende i cereali e quindi molto importante dal punto di vista economico.
Bombardamento genico. Le cellule vegetali sono
particolarmente resistenti alla trasformazione perché sono rivestite
esternamente da una spessa parete cellulare. Per far arrivare il DNA
d'interesse fino al nucleo è quindi necessario usare le maniere forti. Nella
tecnica del bombardamento genico, il DNA d'interesse viene attaccato sulla
superficie di goccioline d'oro che vengono sparate ad altissima velocità contro
le cellule da trasformare. Il proiettile genico arriva fin nel nucleo ed il DNA
straniero si intrufola nel patrimonio genetico della cellula ricevente.
Metodo dei protoplasti. Se alle cellule vegetali si toglie la
parete (con enzimi detti cellulasi) si ottengono dei protoplasti. Questi sono
più facili da trasformare e, alla fine, possono comunque dare origine ad una
nuova piantina, anche se con qualche difficoltà in più rispetto alla cellula
integra. I protoplasti possono assorbire DNA nudo, soprattutto se vengono
stimolati con piccole scosse elettriche. I buchi che si formano
transitoriamente nella membrana consentono al nostro DNA di entrare, di raggiungere
il DNA cellulare e di integrarsi. In alternativa, si può mettere il DNA da
trasferire in "sacchettini" simili per composizione alla membrana dei
protoplasti (liposomi). I liposomi si fondono molto facilmente con i
protoplasti e rilasciano il DNA estraneo nella cellula vegetale.
Espressione
dei geni eterologhi in Microrganismi
L’obiettivo primario della clonazione dei geni biotecnologici
è l’espressione del gene in un ospite prescelto.
Sfortunatamente l’inserimento del gene in un vettore di
clonazione non garantisce che esso venga espresso davvero. Per di più le leggi
del mercato, già perché di prodotti commerciali stiamo parlando, esige che la
proteina codificata dal gene clonato venga prodotta a ritmi elevati.
Per rispondere a queste leggi di mercato si sono creati molti
vettori di espressione speciali manipolando un certo numero di vari elementi
genetici che controllano aspetti della trascrizione, della traduzione, della
stabilità proteinica, della limitazione dell’ossigeno e della cellula ospite.
Più specificatamente, tra le caratteristiche
biologico-molecolari che sono state manipolate per modulare l’espressione
genica si annoverano:
- la natura delle sequenze promotrici e di arresto della trascrizione pertinenti;
- la forza del sito di legame per il ribosoma;
- il numero delle copie del gene clonato e la scelta se il gene debba essere trasportato da plasmidio oppure integrato nel genoma della cellula ospite;
- la localizzazione finale, nella cellula, della proteina estranea sintetizzata;
- il rendimento della traduzione nell’organismo ospite;
- la stabilità della proteina del gene clonato all’interno della cellula ospite.
Il livello di espressione di un gene estraneo dipende pure
dall’identità dell’organismo ospite.
Così, oggi, pur avendo a disposizione una gran varietà di
possibili organismi ospiti procariotici ed eucariotici, la maggior parte dei
prodotti proteici di importanza commerciale ottenuta mediante la tecnologia del
DNA ricombinante è sintetizzata in Escherichia coli. Questo perché E. coli è
l’organismo più conosciuto da tutti i punti di vista: biologico molecolare,
biochimico e fisiologico. Inoltre E. coli è capace di produrre molte proteine
rapidamente a basso costo.
Altri sistemi, però, sono il Bacillus
subtilis, Saccharomyces cerevisiae,
cellule animali e vegetali e di insetto.
Vettori
d'espressione procariotici
Perché esprimere geni in
sistemi eterologhi.
Molte proteine funzionalmente determinanti nel
differenziamento cellulare sono scarsamente rappresentate a livello
quantitativo nelle cellule in cui sono espresse abitualmente. L'interesse a
studiare queste proteine a forte interesse biologico ha stimolato lo sviluppo
di un folto gruppo di vettori per l'espressione in organismi eterologhi.
Quali sistemi eterologhi
utilizzare per l'espressione dei geni
Esprimere proteine in sistemi eterologhi é impresa tutt'altro
che facile, in gran parte, a causa della complessità strutturale delle proteine
e del loro "difficile" rapporto con la funzione. A differenza di
altre macromolecole biologiche, come i polisaccaridi o gli acidi nucleici, che
sono strutturate in modo regolare a partire da poche unità monomeriche, le
proteine sono formate dall’assemblaggio di ben venti aminoacidi, ciascuno dei
quali caratterizzato da proprietà chimico-fisiche distinte. Conseguentemente le
proteine possono assemblarsi nello spazio in un numero pressoché infinito di
configurazioni. Nel corso dell’evoluzione le strutture proteiche si sono
affinate in rapporto alle specifiche funzioni che sono andate assumendo ed il
risultato finale è spesso conseguito e/o stabilizzato da una serie di altri
fattori come, ad esempio, la presenza di ponti disolfuro, la modificazione
post-traduzionale di residui amminoacidici, o la presenza di proteine capaci di
assistere il folding corretto. Poiché la
presenza di questi co-fattori non è ubiquitaria è essenziale considerare con
attenzione "dove" esprimere un gene d'interesse.
Prototipo di
vettore d'espressione
Un vettore
d’espressione è innanzitutto un vettore, generalmente di piccole dimensioni,
che deve contenere un’origine di replicazione per l’ospite prescelto, uno o più
marcatori di selezione ed almeno un sito unico di riconoscimento per una
endonucleasi di restrizione. I segnali che assicurano l’espressione genica nei
procarioti, inoltre sono molto diversi e se un gene eucariotico viene
semplicemente trasferito in una cellula batterica ha poche probabilità di essere
espresso. E’ necessario quindi sostituire le sequenze regolative eucariotiche
con sequenze regolative di tipo batterico. Naturalmente se il gene che vogliamo
esprimere deriva da una sequenza genomica contenente introni è necessario
retro-trascriverne il messaggero e clonarlo nel vettore d’espressione come cDNA, visto che E. coli non possiede un apparato
di splicing in grado di rimuoverli.
Dunque, costruire un vettore d’espressione significa
essenzialmente costruire un vettore di replicazione contenente tutti quei
segnali capaci di ottimizzare e regolare la corretta trascrizione e traduzione
di geni eterologhi nell’ospite in cui avviene l’espressione. E’ inoltre
importante ottimizzare la stabilità della proteina e, se possibile, facilitarne
la purificazione.
In sostanza si deve costruire
quella che viene chiamata “cassetta di espressione”, cioè una sequenza di DNA
che contenga oltre al gene d’interesse, anche il promotore e i componenti
necessari per la selezione delle cellule trasformate e l’espressione del gene
ospite.
Tabella 1 Cassetta di
Espressione
Promotore
35S
|
Gene
???
|
Marker
NptII
|
Reporter
Gus
|
Terminatore
Nos-ter
|
Il promotore è una
sequenza di DNA che viene riconosciuta dal complesso di enzimi che presiedono
alla trascrizione del gene nel messaggero e quindi nella proteina
corrispondente. E’ molto usato un promotore ricavato da un virus del mosaico
del cavolfiore (35S).
Il marker è un gene che
permette di selezionare le cellule trasformate rispetto a quelle non
trasformate. Si basa, per es., su geni che conferiscono resistenza ad
antibiotici (ad esempio il gene nptII, che
dà resistenza alla kanamicina). Una volta
che la “cassetta di espressione” è stata
incorporata nelle cellule procariotiche, il gene che dà resistenza
all’antibiotico ‘difende’ le cellule stesse dall’antibiotico che è stato
aggiunto al mezzo di coltura. Le cellule che non hanno la “cassetta di
espressione” muoiono.
Oltre al gene nptII, che
conferisce resistenza alla kanamicina, si possono usare geni che danno
resistenza ad altri antibiotici(igromicina, gentamicina, streptomicina,
bleomicina, ecc.).
Accanto al gene utile per la selezione dei trasformati, si
usano generalmente altri geni, chiamati geni
reporter, che servono a verificare l’avvenuta trasformazione. Questi
sono geni che codificano per marcatori fenotipici facilmente rilevabili:così ad
esempio, il gene gus, che codifica per l’enzima b-glucuronidasi,
che in presenza dell’appropriato substrato produce una sostanza di colore blu;
oppure il gene GFP (green
fluorescent protein) che codifica per una proteina che dà fluorescenza
se eccitata agli UV.
Ottimizzazione
della Trascrizione
Il livello di espressione di un gene dipende in larga misura
dalla forza e dalla capacità di regolazione del promotore che lo controlla
determinando la frequenza con la quale la
RNA-polimaresi inizia la trascrizione.
Sono stati isolati ed ottimizzati un certo numero di
promotori forti di E. coli che sono presenti nella maggior parte dei vettori
d’espressione attuali. In più, poiché il livello di conoscenza dei promotori
procariotici è molto avanzato, sono stati elaborati anche promotori, in parte o
totalmente sintetici, sulla base delle sequenze consenso ottimali.
Un promotore procariotico tipico è costituito da circa 40 bp contenenti due sequenze consenso a –35 bp
dal sito d’inizio del gene (TTCAGA) e a –10
bp dal sito d’inizio(TATAAT).
Tra i promotori forti più utilizzati ci sono: lac, lacUV5,
trp, tac, T3, T7, lamdaPR, lamdaPL
I Vettori
d'espressione sono regolati
In analogia con i sistemi naturali anche i vettori
d’espressione devono essere regolati. L’espressione di un gene eterologo può
sempre risultare letale o comunque tossica per un batterio portandolo alla
morte o rallentando la velocità di crescita. Inoltre, l’espressione costitutiva
di un gene eterologo facilita l’attivazione dei meccanismi di difesa batterici
tesi a distruggere il materiale estraneo ad essa (DNA o proteine
non-self).Infine se è possibile risulta più pratico riuscire ad esprimere in
maniera controllata dallo sperimentatore l’espressione del gene eterologo. I
sistemi di regolazione dell’espressione genica nei batteri sono estremamente
efficienti e rapidi nel modulare l’espressione genica in risposta a stimoli
ambientali e, in più, sono noti in grande dettaglio. Per questo, tutti i
sistemi di regolazione dei vettori d’espressione sono presi a prestito da
quelli batterici o da quelli di batteriofagi. I promotori forti più utilizzati
sono lac e trp di E. coli.
Nel caso del Operone lac è noto che il repressore del
lattosio, codificato dal gene lacI, si lega alla sequenza dell’operatore del
lattosio, reprimendone la trascrizione di tutti i geni, fino a quando la
presenza di un b- o di un tio-galattosidepiranoside (IPTG) non induce una modificazione allosterica nel
repressore che perde così affinità per l’operatore permettendo, così la
trascrizione da parte della RNA-polimerasi.
Così, anche, tutti i sistemi di regolazione utilizzati dai
vettori d’espressione utilizzano dunque un sistema binario formato da un
Operatore, che generalmente è posizionato all’interno del promotore, e da un
gene che codifica per il Repressore corrispondente (per es. lacO e lacI).
Poiché il repressore agisce in trans, può essere posizionato sia nel cromosoma
batterico che nello stesso vettore d’espressione.
Utilizzo di ospiti
d'espressione
Per esprimere proteine in E.coli
utilizzando vettori d'espressione è necessario utilizzare appositi ospiti
d'espressione. Il primo requisito di questi ceppi di coli è di contenere i geni
per specifici repressori( spesso sovra-espressi) insieme a delezioni parziali o
totali degli operoni corrispondenti ( altrimenti l'aggiunta dell'induttore
indurrebbe tutti i geni dell'operone oltre al gene d'interesse ). Per esempio
se utilizziamo un vettore della serie pQE, inducibile con IPTG e contente
l'operatore lacO, dobbiamo utilizzare un
ceppo di coli lacI+ ma lac- , per esempio W3110 con genotipo lacIqL8 Delta(lac-proAB), dove lacIqL8 corrisponde ad una
mutazione "up" di lacI sovra-esprimente il repressore lacI.In genere
si costruiscono i costrutti d'espressione in ospiti intermedi rec-, per es.
HB101, e quindi si trasferisce il costrutto in un E.coli d'espressione ( a
volte rec+) Per evitare influenze negative sul metabolismo batterico in genere
si utilizzano induttori "gratuiti" o non metabolizzabili come l'IPTG (iso-propil-tio-galattoside).
Sistemi di regolazione
stringente
La repressione dell'espressione del gene ricombinante basata
sui sistemi di repressione tradizionali, per sua natura, non può essere
completa e i livelli residui di espressione, seppur estremamente bassi, possono
ostacolare seriamente sia la crescita batterica che l'espressione della
proteina ricombinante. Per superare queste difficoltà sono stati sviluppati dei
sistemi di regolazione fine che assicurano un controllo più stringente della
trascrizione del gene ricombinante. Un primo approccio a questo problema
consiste nel posizionare il gene che codifica per il repressore su un secondo
plasmide indipendente che replichi ad alto numero di copie. Il plasmide deve
contenere un marcatore di resistenza diverso da quello utilizzato dal vettore
di espressione e deve contenere un origine di replicazione di E. coli
appartenente ad un differente gruppo di incompatibilità. Un esempio e'
rappresentato dal plasmide Rep4 che contiene il gene codificante per il
repressore del lattosio. Una seconda strategia, ampiamente utilizzata dai
vettori della serie pET, consiste nel clonare il gene ricombinante a valle del
promotore del batteriofago T7, utilizzabile solo dalla polimerasi virale
corrispondente, il cui gene, a sua volta , e' integrato nel cromosoma batterico
sotto il controllo del promotore lac UV7. Si ottiene così un duplice controllo
in cui s’induce con IPTG l'espressione del gene per la RNA polimerasi di T7
che, a sua volta, trascriverà esclusivamente il gene ricombinante sotto il
controllo dell'unico promotore in grado di riconoscere.
Ottimizzazione della
terminazione della trascrizione e della traduzione
Specifici terminatori trascrizionali sono utilizzati per
segnalare alla RNA polimerasi di rilasciare lo stampo di DNA ed interrompere la
trascrizione del RNA neosintetizzato, Questi terminatori sono normalmente
posizionati subito a valle del sito di clonaggio e agiscono per prevenire
possibili read-trough della trascrizione. Quanto più forti sono i promotori
usati, tanto più necessari sono i terminatori, tra cui i più utilizzati sono
rrnB T1 e T2 derivati dal5S rRNA di E.coli.
Una volta sintetizzato uno
specifico mRNA, questo, per essere efficientemente tradotto in E. coli ha
bisogno di legarsi al ribosoma. La sequenza di legame al ribosoma nel
messaggero procariotico si trova nella sequenza leader trascritta , ma non
tradotta ed è costituita dalla sequenza d'inizio AUG e dalla sequenza di
Shine-Dalgarno posizionata tra 7 e 9 nucleotidi a monte dell’AUG e comprendente
la sequenza A GG A GG o parte di essa. La Shine Dalgarno è complementare ad una
sequenza altamente conservata situata vicino alla estremita’ 3’ dell’ rRNA
16S.
Esempi di
promotori regolati
Vettori pBAD
Questa famiglia di vettori d’espressione si basa su un
promotore regolato dall’Arabinosio la cui
caratteristica saliente consiste nella inducibilità dose-dipendente della
espressione dei geni clonati sotto il controllo di pBAD.
Vettori pET
I vettori pET e i loro derivati costituiscono una famiglia
assai numerosa di vettori d’espressione accomunati dall’utilizzo di un sistema
di espressione basato sull’utilizzo della polimerasi di T7, originariamente
elaborato da Moffat e Studier. In questo sistema il gene d’interesse viene
clonato sotto il controllo di un promotore specifico per la T7 RNA polimerasi e
trasferito in un ospite contenente il gene codificante la T7 RNA polimerasi
sotto il controllo di un promotore inducibile con IPTG. Introducendo IPTG nel
mezzo si induce selettivamente l’espressione della polimerasi virale che, a sua
volta, inizia a trascrivere esclusivamente i geni posti sotto il controllo del
"suo" promotore. In questo modo si riesce ad ottenere allo stesso
tempo una regolazione stringente con livelli d’espressione eccezionalmente
elevati.
Vettori basati sui promotori
tac
Numerosi vettori sono basati sul classico promotore tac o
suoi derivati. Il promotore, sviluppato da E. Amman, è un promotore ibrido
formato dal –35 del promotore trp e dal –10 del lacUV5. Il promotore è regolato
dall’operatore del lattosio e, quindi, è inducibile con IPTG. I livelli di espressione sono alti ma la regolazione non
è molto stringente.
Vettori basati su promotori
Lambda PL
In questo tipo di vettori l’espressione viene diretta dal
promotore forte del fago lambda PL e
regolata dal repressore di lambda cI. A sua volta l’espressione di cI è
regolata. Quando cI è espresso si lega PL e reprime l’espressione del gene
sotto il suo controllo Nei vettori pTrxFus, per esempio, il gene cI è clonato
sotto il controllo di un promotore triptofano-specifico che viene
specificamente represso dall’addizione di triptofano del mezzo con conseguente
repressione della sintesi di cI.e induzione del gene clonato sotto il controllo
di PL
Vettori basati su promotori
Lambda PR
Questi vettori, per es. pRIT2T, vengono repressi da una
versione termostabile di cI, stabile a 37°C ma inattivata a 42°C. Alzando la
temperatura a 42°C si inattiva il repressore liberando la RNA pol dalla
repressione di cI e attivando l’espressione del gene d’interesse.
Vettori basati sul promotore
del fago
Sostengono livelli di
espressioni estremamente alti, sono indotti da IPTG e regolati da un doppio
operatore lac.
Vettori basati sul promotore
tetA
I vettori Biometra pASK75.
Si basano sul promotore tetA e sono indotti da concentrazioni bassissime,
biologicamente indifferenti, di anidrotetraciclina.
L'evoluzione
dei vettori d'espressione
Le conoscenze di base
che permettono l'espressione di geni eterologhi in E. coli si sono lentamente evolute e si è passati dal problema
iniziale di esprimere" tout court" un gene a quello di esprimerlo in
modo che sia abbondante, facilmente purificabile e, se possibile, con il
corretto folding. Si è notato che nelle cellule ospiti le proteine estranee,
specialmente quelle piccole, si presentano spesso in quantità minuscole. Questo
basso livello di espressione è dovuto in molti casi alla degradazione della
proteina estranea da parte di proteasi batteriche. Uno dei modi per risolvere
il problema e quello di legare covalentemente il prodotto del gene clonato con
una proteina stabile dell’ospite. Tale combinazione, che prende il nome di Proteina di Fusione, protegge il prodotto del gene clonato dalla
degradazione da parte delle proteasi dell’ospite. Le proteine di fusione si
costruiscono a livello del DNA saldando le regioni codificatrici dei due geni.
Come esempio si può citare l'espressione del precursore dell'ormone della
crescita, o ormone somatotropo, la cui espressione ha costituito uno dei primi
successi di espressione in E. coli ed è
stata ottenuta utilizzando un "normale" vettore di clonaggio. Il
trucco consiste nell'utilizzare il sito unico di restrizione PstI e clonare "in frame" il cDNA del Pre-GH costruendo, così, una fusione
genica costituita dal signal peptide del gene Bla (Beta-lattamasi) fusa a
Pre-GH sotto il controllo transcrizionale del promotore di Bla. In questo modo
si riesce, non solo ad esprimere Pre-GH, ma anche a farlo indirizzare nello
spazio periplasmatico dove è meno attaccabile dalle proteasi e più facili da
purificare. Poichè il clonaggio nel sito PstI rappresenta una normale strategia
di clonaggio in PBR 322, è possibile che questo primo esempio d’espressione
eterologa sia stato frutto del caso ma in ogni modo ha evidenziato alcuni punti
importanti:
- Le fusioni geniche proteggono dalla degradazione e aumentano i livelli d’espressione costituendo un'ottima strategia d’espressione
- I componenti della fusione genica devono sempre essere nello stesso "frame" (o cornice d’espressione).
- E' possibile inserire dei signal peptide o dei segnali di localizzazione per indirizzare la proteina ricombinante in compartimenti definiti (di solito nello spazio periplastico o nel mezzo esterno
I vettori di espressione di ultima generazione includono
spesso più di un'origine di replicazione, permettendo così al vettore di essere
veicolato tra ospiti diversi, dei polilinker con molti siti di restrizione
unici, ma specialmente hanno dei "tag" che permettono, in un unico
passaggio di purificazione, di isolare la proteina ricombinante dalle altre
proteine di E.coli per cromatografia di affinità. Poiché molti tag di fatto,
costituiscono anche degli ottimi partner di fusione, ormai tutti i sistemi
ottimizzati per esprimere prodotti di fusione includono peptidi purificabili
per affinità. Inoltre praticamente tutti i sistemi prevedono la possibilità di
rimuovere la proteina d'interesse dal partner di fusione e per questo sono
presenti dei siti di taglio riconosciuti da proteasi. Perché la presenza del
segmento proteinico dell’ospite rende la maggior parte delle proteine inadatte
all’uso clinico e influire sul suo funzionamento biologico. Diviene , quindi,
necessaria la disponibilità di strategie atte ad eliminare dalla proteina
bersaglio la sequenza amminoacidica indesiderata. Uno dei modi per farlo
consiste nel congiungere la proteina bersaglio a quella dell’ospite tramite
brevi tratti di amminoacidi che sono riconosciuti da una proteasi non batterica
specifica. Ad esempio, si può congiungere con il gene clonato un linker
oligonucleotidico che codifica la sequenza Ile-Glu-Gly-Arg. Così dopo la
sintesi e la purificazione della proteina di fusione, per liberare la proteina
del gene clonato da quella ospite , si può utilizzare un fattore di
coagulazione del sangue detto Xa; si
tratta di una proteasi specifica che scinde i legami peptidici unicamente sul
lato C-terminale della sequenza Ile-Glu-Gly-Arg.
Sito di taglio
di Xa
……Thr-Ala-Glu-Gly-Gly-Ser-Ile-Glu-Gly-Arg-Val-His-Leu……
altri esempi sono dati da:
- 6xHis tag Questa sequenza
- di poli-istidine può essere purificata per affinità su resine di NTA -Ni (Ni complessato ad acido nitriltriacetico) ed ha la peculiarità di funzionare anche con proteine denaturate con guanidina idrocloruro o con urea. Grazie alle sue piccole dimensioni, alla sua eccezionale affinità per il Ni, e alla sua versatilità ( può essere messo all N teminale, al C-terminale e persino inserito, in frame, all'interno della proteina), costituisce un sistema di larga diffusione e utilizzato sia come tale che fuso a una quantità di ulteiori partner (es. il DHFRS diidro folato reduttasi ) a dare prodotti di fusione tri-partiti 6xHis-X-Y di eccezionale stabilità.
- CBP tag (Calmodulin-Binding Peptide) I vettori della serie pCal contengono una sequenza che codifica una CBP di circa 4 kDa, permettendo ai prodotti di fusione espressi con questo sistema di legarsi a colonna di calmodulina. L'eluizione della proteina purificata avviene in presenza di EGTA in condizioni estremamente delicate.
- GST tag I vettori della serie pGEX codificano per una Glutatione S-transferasi, di circa 26 kDa, purificabile su resine legate a glutatione.
- Proteina A I vettori della serie pEZZ e pRIT commercializzati dalla Pharmacia contengono un peptide con caratteristiche simili alle IgG capace di legarsi alla proteina A . i vettori pRIT contengono inoltre un signal peptide capace di indirizzare le proteine di fusione nel periplasma. Questo sistema, pur decisamente datato, é estremamente efficiente e ancora utilizzato.
- Epitopi biotinilati I vettori della serie PinPoint™, commercializzati dalla Promega contengono dei tag biotinilabili in vitro che possono essere purificati su colonne di streptavidina.
- MBP tag (Maltose Binding Protein) I vettori che esprimono MBP contengono il gene malE e possono legarsi a colonne di amilosio. Sembra, inoltre, che la presenza di MBP mogliori le proprietà di solubilità del prodotto di fusione.
- Tioredoxina Anche le fusioni che includono la tioredoxina migliorano la solubilità dei prodotti di fusione, probabilmente assistendo il folding della proteina chimerica. I prodotti di fusione sono facilmente purificabili su resine di PAO (4-aminephenylarsine oxide)
Ancora qualche trucco
Un' ulteriore passo avanti é stato compiuto recentemente con
l'introduzione di un vettore di espressione capace di esprimere prodotti di
fusione che ,dopo purificazione su colonne di chitina, possiedono la
rimarchevole capacità di auto-catalizzare la rimozione del peptide d'interesse
dal partner di fusione. Questa capacità é mediata da una proteina, nota come Inteina, che é capace di effettuare splicing
proteico. Il sistema di fusione produce un CBP tag, seguito da una Inteina
derivata dal gene VMA1 di Saccharomyces cerevisiae e, per ultimo la
proteina che vogliamo esprimere. L'elemento di splicing é stato ingegnerizzato
per effettuare una reazione di self-cleavage in ambiente riducente e a bassa
temperatura, permettendo così di purificare la proteina target pura.
Problemi
Nonostante le enormi potenzialità dell'espressione in E.coli, una serie di problemi ne hanno
limitato lo sfruttamento industriale su larga scala e rendono l'espressione
eterologa in coli un' impresa non sempre facile. I principali problemi sono
legati alle resa, alla insolubilità, e alla mancanza di attività della proteina
ricombinante e alla incapacità di E.coli di operare molte modificazioni
post-traduzionali essenziali per il folding e l'attività proteica. Affrontare
questo tipo di problematica è assai complesso . Alcune strategie generali
prevedono:
- l'utilizzo di ospiti batterici deficienti in alcuni enzimi proteolitici.
- l'utilizzo di fusioni geniche. questa strategia assicura che la metionina iniziale venga riconosciuta e trattata dalle aminopeptidasi batterici. Le metionine eucariotiche non vengono riconosciute e identificano immediatamente la proteina ricombinante come non-self
- La co-espressione di proteine ricombinanti con chaperonine batteriche e la crescita a bassa temperatura.
- La purificazione di proteine insolubili, con successiva solubilizzazione in agenti denaturanti o caotropici e,infine, refolding e recupero dell'attività.
Un altro problema deriva dalla limitatezza dell’ossigeno. Per
poter crescere, E. coli, come la maggior
parte degli altri microrganismi adoperati per esprimere le proteine estranee,
richiede generalmente l’ossigeno, che sfortunatamente si discioglie nei mezzi
acquosi di coltura in misura molto limitata. La conseguenza di ciò è che,
mentre aumenta la densità delle cellule batteriche, le cellule necessitano
sempre più di disponibilità ci ossigeno impoverendo il terreno rapidamente del
prezioso gas.
Quando le cellule dispongono di limitate risorse di ossigeno,
la loro crescita rallenta e la coltura entra ben presto in un fase di stasi,
durante la quale muta il metabolismo cellulare. Una conseguenza della fase
stazionaria è la produzione, da parte delle cellule ospiti, di proteasi capaci
di degradare la proteina clonata.
Per risolvere questo problema si è tentato tanto di
modificare la configurazione della fermentazione per migliorare l’aerazione e
l’agitazione delle cellule quanto di aggiungere al mezzo di coltura della
sostanze chimiche che aumentino la solubilità dell’ossigeno. Questi sforzi non
hanno portato, purtroppo, a grandi risultati.
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